1 novembre 2023

Musica degenerata a Pordenone

  Nel guestbook del Teatro Verdi di Pordenone, che nel corso delle ultime stagioni si è fatto sempre più polposo, mancava ancora il nome di Iván Fischer. Quale migliore occasione del soggiorno prolungato in Italia del direttore, che dopo una manciata di concerti romani da giovedì sarà impegnato nel Vicenza Opera Festival, per proporre uno dei musicisti più apprezzati e influenti della scena a un pubblico che ormai ha affinato il palato, tanto più per un’occasione speciale come l’inaugurazione della stagione musicale, la prima firmata dal nuovo “consulente artistico” Roberto Prosseda, che ha da poco raccolto la pesante eredità di Maurizio Baglini.

  Difficile immaginare un musicista eclettico e onnivoro come Iván Fischer, capace di passare, magari non sempre mantenendo non lo stesso livello di pregnanza ma uguale magistero, da Monteverdi alla musica contemporanea con tutto quello che c’è nel mezzo. È altresì frequente che Fischer spesso proponga, accanto ai classici canonizzati del repertorio, programmi antologici che scardinano la comune accezione del concerto, non di rado infondendovi un personalissimo tocco di ironia.

  Se non è un programma scanzonato - e non lo è - sicuramente il viaggio nella musica proibita del Terzo Reich sfugge agli schemi del cartellone togato, allargando lo sguardo anche verso una produzione dai tratti forse più disimpegnati e leggeri, sicuramente sperimentali. Certo non è una frivolezza inconsapevole né ingenua, ma sapientemente orchestrata e per molti versi talmente innovativa e tellurica, se rapportata all’epoca di composizione, da far tremare i custodi della heil’ge deutsche Kunst che su quel modello speravano di impostare e propagandare l’identità di un popolo intero.

  La lente di Fischer si è soffermata su quattro dei tanti nomi banditi con l’accusa di creare Entartete Musik, definizione cappelllo sotto cui si raccoglie la produzione di autori invisi al regime nazista per una serie di motivi che vanno da una presunta dissolutezza estetico-formale, etichetta buona per bollare tutto ciò che era ritenuto non conforme alla tradizione postromantica germanica, fino a squallide questioni politico-razziali. Il programma dà giustamente spazio a diverse declinazioni di “degenerazione”, dalla Suite Nr. 2 op. 24 di Hanns Eisler (dalla colonna sonora del film Niemandsland del 1931), con il suo carattere leggero e cabarettistico, al più serioso Der Schwanendreher, concerto per viola e orchestra che probabilmente non è il lavoro più ispirato di Paul Hindemith e pecca di disomogeneità, ma trova in Maxim Rysanov un interprete capace di esaltarne i momenti più intimi e distesi, producendosi in sonorità dalla morbidezza prodigiosa, quanto i passaggi più tesi e scorbutici.

  Ci sono profumi jazzistici e di ragtime anche nella Suite per orchestra da camera op. 37 di Erwin Schulhoff quanto nella selezione di brani di Kurt Weill che hanno chiuso la serata, alcuni dei quali affidati alla cantante Nora Fischer, figlia d’arte, la quale non ha qualità vocali da strapparsi i capelli ma si destreggia in una scrittura che mescola canto, recitazione e sbalzi d’estensione scomodissimi con un notevole impegno espressivo e buon carisma scenico.

  Sul palco, accanto al direttore, c’è la solita Budapest Festival Orchestra, che in organico ridotto non perde di “peso” né consistenza ma guadagna ulteriormente di virtuosismo e, forse sorprendentemente, dimostra un’idiomaticità insospettabile per il repertorio specifico. Lo swing, il senso ballante del ritmo, i colori ora graffianti ora notturni sono sempre quelli giusti, con un comparto di fiati sensazionale.

  Successo caloroso per tutti a fine serata. Il concerto sarà replicato sabato 28 al Teatro Olimpico di Vicenza nell’ambito del Vicenza Opera Festival.

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