8 novembre 2023

La Bohème al Teatro Del Monaco di Treviso

  A fine recita si ha la sensazione che La Bohème coprodotta tra Stabile del Veneto e Sociale di Rovigo, che dopo aver debuttato a Padova è arrivata al Teatro Mario Del Monaco di Treviso per l'inaugurazione della stagione operistica, avrebbe potuto regalare soddisfazioni ben maggiori. Non che si parli di uno spettacolo spiacevole, ma diseguale e azzoppato da un problema capitale alla radice: la mancanza diffusa di pragmatismo. Il che sorprende quando riguarda un uomo di teatro esperto come Bepi Morassi, che pure monta uno spettacolo dalla regia tradizionalmente solida, molto “sua” anche nelle trovate, talvolta simpatiche, talvolta non freschissime, e nell’uso della platea per allargare il campo di gioco. Però è uno spettacolo vincolato a un impianto scenico che fa di tutto per complicare la vita ai cantanti, poiché si svolge quasi interamente su uno scheletro metallico (disegnato da Fabio Carpene e ben illuminato dalla giovane Jenny Cappelloni, al suo debutto).

La Bohème al Teatro Del Monaco di Treviso
foto Marino Bilato

  L'impalcatura rimanda a una sorta di polifunzionale metropolitano dove alloggi di fortuna si mescolano con attività varie e in cui ci si arrabatta alla meglio. In un contesto più omogeneo, e magari completamente “moderno”, l'ambientazione potrebbe anche avere una sua pregnanza e rendere quel senso di precarietà e di vita alla giornata dei bohémien, ci sono però due problemi. Il primo è che il ponteggio tiene i cantanti lontani dal boccascena e dalla buca stessa, che infatti spesso parte per la tangente, e che complica sia i movimenti dei solisti sia l’espansione delle voci in sala. C’è poi uno strano strabismo estetico-temporale per cui costumi e scene danno l’impressione di essere accostati senza una gran coerenza, con i primi che rimandano al passato più o meno remoto e lo sfondo da ambiente urbano contemporaneo, con qualche spruzzata retrò soprattutto nel quadro di Momus. Al netto degli impacci, Morassi fa la sua Bohème che è sì d’impronta tradizionale ma non statica, con dovizia di controscene a riempire i vuoti e non senza dettagli, aiutato da un cast ideale, se non altro per questioni anagrafiche, per la sospensione dell’incredulità.

  Nell'occasione un po' di sana praticaccia del mestiere sembra mancare anche a Alvise Casellati, che non fa molto per aiutare il palco, né adeguando il fraseggio strumentale al respiro melodico, né dimensionando i volumi in modo che l'orchestra non soverchi le voci, cosa che succede grossomodo per tre quarti del tempo. Peccato perché l’Orchestra di Padova e del Veneto è in buona serata ed esprime una compattezza e una omogeneità che avrebbero potuto essere più variamente modellate.

  L’indolenza della direzione ovviamente si ripercuote sui solisti, che vivono sulle spine, senza sapere mai con certezza quando attaccare o se il fiato sarà accomodato, sostenuto o spezzato a metà. La situazione è abbastanza problematica nel primo quadro, con voci e buca che marciano su rette parallele, ma va migliorando in corso d'opera. Quanto ai protagonisti, Claudia Pavone ha il timbro, la sicurezza tecnica e la dolcezza necessari per tratteggiare una Mimì che ha nella spontaneità il suo punto forte, oltre a uno strumento ormai abbastanza maturo per reggere la scrittura a ogni altezza e affrontare i marosi orchestrali. Subentrato al previsto Stephen Costello, che ha dovuto abbandonare la produzione prima del debutto, firma una buona prova Davide Tuscano, giovane tenore che può vantare un bel colore solare e volume notevole, cui resta ancora da limare qualche dettaglio nel passaggio e negli acuti per compiere il definitivo salto di qualità.

  È una bellissima sorpresa la Musetta di Giulia Mazzola, che ha verve, tecnica, temperamento e squillo in tutta l'estensione. Il Marcello di Jorge Nelson Martínez si segnala soprattutto per la baldanza del materiale vocale mentre Alejandro López, Colline, dà l'impressione di cantare ancora troppo di natura - una natura generosa, va detto - anziché di tecnica e arriva stanco alla Zimarra. Eccellente sia sul piano scenico che vocale lo Schaunard di William Hernandez, che sarebbe interessante riascoltare in una parte più impegnativa. Positivo il contributo delle tante parti di fianco, a partire da Enrico Di Geronimo che ben si sforza di non calcare la mano sul lato più macchiettistico di Benoît e Alcindoro. È al pari convincente la prova del Coro di Voci Bianche A.LI.VE. preparato da Paolo Facincani e del Coro Lirico Veneto guidato da Giuliano Fracasso, che per altro cantano buona parte dei rispettivi interventi dalla platea, dimostrando totale affidabilità.


   A fine recita successo caloroso e prolungato per tutta la compagnia.

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