26 agosto 2019

La trilogia dapontiana di Currentzis

Ascolto e riascolto questi dischi da quando sono usciti e ancora non riesco a orientarmici. All'inizio mi hanno travolto con tutta l'adrenalina che Currentzis ci butta dentro, poi ho iniziato a trovarli stucchevoli e ripetitivi, oggi sono a metà strada. Sono affascinanti e pieni di idee, ma frammentari e calligrafici: c'è una continua ricerca del dettaglio minuscolo, dell'estremo, un balzare da un campo medio a un primo piano, eppure mi manca una visione complessiva. Sarà che io concepisco i Mozart/Da Ponte come massima espressione dell'ambiguità e del non detto, e qui è tutto bianco o nero. Solo da poco ho capito la grandezza vera di Giulini nei suoi dischi fatti di vie di mezzo e sfumature.
Ieri riascoltavo le Nozze di Currentzis. L'ingresso di Antonio - un bifolco con la voce sporca alla Louis Armstrong - è sensazionale per il modo in cui l'orchestra commenta ogni frase (dal balcone? in giardino?), così come sono interessantissimi i recitativi, anche se molto eccentrici, con certi gesti musicali esasperati (non son mali da donne triviali, e il fortepiano si fa volgarissimo).
Nessuno traduce in dinamica il moto ondoso del Terzettino del Così Fan Tutte come fa lui e tante altre cose. Ah, e nessuno come lui - e Tiliakos - centra il "male di vivere" del Don Giovanni. Però boh.






Piccola nota gossipara: Malena Ernman, la Dorabella di questi dischi, è la mamma di Greta Thumberg.

22 agosto 2019

Tobias Wögerer si racconta

I primi due direttori assistenti della Gustav Mahler Jugendorchester furono in ordine di tempo Franz Welser-Möst e Manfred Honeck, l'ultimo, anzi penultimo, Lorenzo Viotti, che poi da quel nido ha spiccato il volo in un battibaleno. Ora questa posizione è nelle mani e nella bacchetta di Tobias Wögerer, ventottenne austriaco “scoperto” dallo stesso Welser-Möst, un ragazzo che farà parlare di sé. Nasce violoncellista e si innamora un poco alla volta del podio, ma soprattutto è uno che sul podio ci sa stare: sa cosa chiedere e come ottenerlo, sa spaccare il capello in quattro ma anche stemperare. In questi giorni sta preparando l’orchestra per Herbert Blomstedt, che guiderà la tournée estiva.

Ha già lavorato con lui?

No. Ci siamo sentiti un paio di settimane fa per discutere alcuni dettagli musicali sul repertorio in programma, poi ho ascoltato la sue registrazioni per farmi un’idea sui tempi e l’impronta da seguire in generale.



Come si diventa direttori d’orchestra?

Intorno ai 16-17 anni ho iniziato a subire il fascino della musica classica e ad interessarmi alla direzione. Ho divorato i video dei grandi direttori del passato e pian piano sono entrato in questo mondo. Poi, un po’ per caso, ho avuto l’opportunità di guidare l’orchestra e il coro della mia scuola e così, passo dopo passo, ho potuto farmi un’esperienza. Quando ho capito che questa era la mia strada e che potevo farlo come lavoro mi sono spostato a Weimar per studiare.

Insomma mi sembra di capire che i grandi del passato l’abbiano ispirata.

Ovviamente tengo a modello i vari Kleiber, Karajan, Bernstein ma anche alcuni direttori d’oggi per me sono fondamentali. Ho un legame speciale con Franz Welser-Möst, con cui condivido tra l’altro la città natale, ma anche molti altri.

Ha avuto modo di fare da assistente a qualche grande direttore?

No, non ancora, ma cantando nel Wiener Singverein ho potuto lavorare sotto la guida di grandissimi musicisti come Riccardo Muti, Mariss Jansons o Christian Thielemann e si impara molto anche così, stando dall’altra parte e osservandoli.

Come ci si relaziona con un’orchestra?

Per me è fondamentale il rispetto. Chi sta seduto di fronte a me è un professionista e io parto da questo principio. Quando suonavo il violoncello ricordo cosa provassi nel lavorare con un direttore, dunque ci penso spesso. Il mio obiettivo è portare tutti a remare verso un’unica direzione, non forzare od impormi.

Immagino sia diverso lavorare con un’orchestra come la GMJO che nasce da zero in pochi giorni rispetto a una formazione stabile.

Sì, lo è decisamente. Centodieci musicisti da tutta Europa, con esperienze e culture diverse, hanno bisogno di tempo per conoscersi e imparare ad ascoltarsi, in modo da creare un suono omogeneo. Direi che è questo il mio obiettivo principale come assistant conductor: catalizzare tale processo e dare un’identità all’orchestra.

Non le nascondo di essere rimasto impressionato da com’è riuscito in un paio di giorni a sgrezzare il suono dell’orchestra e dargli un carattere.

È speciale anche per me osservare la crescita verticale dell’orchestra, giorno dopo giorno, ma la ragione per cui ciò avviene è la volontà ferrea e la motivazione dei musicisti qui presenti. Hanno un’energia incredibile, proviamo anche sette, otto ore al giorno eppure non sono mai stanchi né cedono, anzi, hanno la voglia di migliorare continuamente.

Non voglio essere frainteso, ma lei non sembra un giovane direttore. Non cerca l’effetto facile o l’energia trascinante, ma va nel dettaglio, lavora sulla piccola finezza. Cosa ne pensa?

Io cerco di raccontare una storia o di esprimere dei sentimenti, il mio obiettivo è far sì che la musica esprima qualcosa ed è un approccio che ho anche nei confronti del gesto, che dev’essere un mezzo e non un fine: il gesto in sé non ha importanza, purché sia chiaro e comprensibile a tutti, la cosa fondamentale è che si traduca in un determinato suono e che porti gli orchestrali nella medesima direzione.

Come approccia a un nuovo lavoro che non ha mai diretto?

In realtà dipende dal repertorio, non è uguale per tutto. Avvicinare un’opera di Mozart è diverso rispetto a dirigere Mahler. Diciamo che tendenzialmente cerco di partire da una visione a campo ampio ed entrare via via nel dettaglio, andando sempre più a fondo, in modo da avvicinarmi man mano a capire la volontà del compositore.

Qual è il suo repertorio d’elezione?

Amo il repertorio classico, Mozart, Beethoven, che sono importantissimi anche per l’orchestra perché danno modo di imparare a suonare e articolare insieme, di costruire un’identità sonora, non solo di seguire la guida del direttore, ma sto esplorando sempre più il grande repertorio romantico tedesco.

Opera ne dirige?

Non ancora, più avanti spero di farlo, ma per ora sono concentrato sul sinfonico.

Cos’ha in serbo il futuro per Tobias Wögerer?

Nella prossima stagione debutterò alla Gulbenkian di Lisbona, un’istituzione molto legata alla Gustav Mahler Jugendorchester, poi ho progetti con diverse orchestre tedesche e austriache. Voglio procedere passo dopo passo e vedere come evolve, chiaramente ho dei sogni ma non una scaletta da seguire in modo definito.

19 agosto 2019

Wögerer: Una Grande da grande

Ho visto Tobias Wögerer "montare" il concerto ferragostano della GMJO pezzo dopo pezzo, dall’assieme numero uno, che credo coincidesse con i primi vagiti dell’orchestra che rinasce, o quantomeno “rinnova come fa la Luna”, anno dopo anno, fino alle due repliche di Aquileia e Majano. Sarei dunque disonesto a parlare dei soli concerti, né mi sentirei nella libertà di farlo, conoscendo tutto quello che c'è alle spalle. Quindi lo premetto, questa non è una recensione, è un backstage.



Un passo indietro. Chi è Tobias Wögerer? Ventottenne austriaco di Linz, Wögerer è il direttore assistente della tournée estiva della Gustav Mahler Jugendorchester che sta preparando e sgrezzando l'orchestra in attesa che arrivi il signore del podio designato, Herbert Blomstedt, a piazzare gli ultimi ritocchi per i concerti che verranno. A Wögerer tocca la parte più ingrata ma forse più affascinante: amalgamare un centinaio abbondante di giovani musicisti, che in larga parte non si sono mai visti prima, e mettere loro nelle dita il repertorio in programma, ma soprattutto farli diventare un'orchestra vera e affiatata in pochi giorni. Al primo approccio in prova con la Grande di Schubert avrei liquidato la faccenda con scetticismo, perché nulla avrebbe lasciato immaginare che quella macchina ingolfata e farraginosa potesse, in un paio di giorni, non solo mettere a puntino uno Schubert suonato divinamente, ma anche così caratterizzato e personale.

Tobias Wögerer è uno che lavora sul dettaglio e sul piccolo gesto, sulle note – le vuole strette e nette, è tipo da sassolini e non macigni – che concerta con grande mestiere e soprattutto, e qui forse sta la sorpresa, non è il classico giovane esuberante che scatena i volumi e fa rullare i tamburi a spron battuto. Per niente. È musicista da intarsi e mezzetinte, da equilibri e articolazioni raffinate. È un ragazzo con la testa del sessantenne.

Scansa sistematicamente ogni gran gesto, ripulisce i fraseggi troppo leziosi e gli effetti speciali per dettagliare in finezza e pulizia, costruisce il grande affresco pennellata dopo pennellata. Seguire questo percorso è stato come osservare uno scultore che dal blocco di marmo sbozza, scalpellata dopo scalpellata, la sua statua, fino a tracciarne i segni d'espressione, le singole vene pulsanti e ogni ruga. Wögerer la prende larga e poi va dentro ogni battuta, cavillando talvolta con puntiglio persino eccessivo, ma soprattutto ripulendo. Sgrassa dai tic e dagli accenti di comodo o d’abitudine, prova e riprova gli impasti isolando e combinando strumenti e sezioni finché non esce il suono che ha in mente lui, appiana ogni forzatura e ammiccamento.

I risultati sono sorprendenti. Nella Basilica di Aquileia, e ancor più nella replica alla Snaidero di Majano, l’orchestrazione di Schubert esce con un nitore che non solo è sempre dialettico e incalzante, ma dà costantemente conto del genio compositivo e della varietà di caratteri e intenzioni racchiusi in questa musica. Per l’Adagio e Fuga di Mozart, affidato ai soli archi, vale lo stesso.
Col tempo Wögerer imparerà anche a lasciarsi andare un po' di più, a osare dove oggi tiene ancora il freno a mano tirato, quel che è certo è che il suo nome sarà, da qui a qualche anno, di quelli che contano.