23 novembre 2023

Wiener Philharmoniker week in Japan 2023

  Nella “week in Japan 2023” che si è conclusa pochi giorni fa, i Wiener Philharmoniker non si sono certo risparmiati, tra concerti, masterclass e iniziative collaterali di formazione per giovani musicisti. Programmi diversi sui leggii a seconda delle date, sparpagliate tra Tokyo e dintorni, e la costante Tugan Sokhiev sul podio, accompagnato a giorni alterni dal jolly Lang Lang. Tuttavia chi pensasse a un evento eccezionale si sbaglierebbe di grosso. Per dare un'idea di quale sia la vivacità della proposta della Suntory Hall, che ospitava la gran parte dei concerti in calendario, basta dire che nel solo mese di novembre vi si sono avvicendate la Czech Philharmonic, l’orchestra del Concertgebouw, la Mahler Chamber e appunto i Wiener, mentre nei prossimi giorni arriveranno i Berliner Philharmoniker con Kirill Petrenko e infine la Gewandhausorchester con Andris Nelsons.

I Wiener Philharmoniker Tugan Sokhiev, Lang Lang
© Naoya Ikegami | SUNTORY HALL

  Il menù della serata di cui si racconta era affascinante per almeno due ragioni. La prima la apparecchiava proprio Lang Lang, il quale ultimamente pare abbia deciso di tuffarsi a capofitto nell’universo di Camille Saint-Saëns, cui ha dedicato il nuovo album in uscita nel 2024. Vi sarà incluso anche il Concerto per pianoforte No 2 in Sol minore, proposto proprio nella tournée giapponese, un’opera che già sulla carta rappresentava una bella scommessa da cui il pianista sarebbe potuto uscire in gloria o clamorosamente sconfitto. Il responso trionfale del pubblico non lascia dubbi sulla bontà della prova, anche se qualche distinguo è opportuno farlo.

  La scrittura si adatta perfettamente alla meccanica del Lang Lang virtuoso, che è un profluvio di morbidezza e possanza, di fluidità e controllo. Però, per non sfuggire all’infallibile adagio secondo cui ciascun musicista suona come si mostra, nel suo approccio alla pagina c'è una iperespressività onnipresente, per l’appunto la stessa che erompe dalla sua prossemica. Il fare musica di Lang Lang pare mosso dal bisogno incoercibile di rimarcare leziosamente il carattere di ogni inciso, esasperandolo senza mezze misure né pudore.

  Ci si trova così nella strana sensazione di chi è combattuto tra l’ammirazione per lo straordinario equilibrismo delle mani sulla tastiera, per la sinuosità del tocco e la sua brillantezza, per il bilanciamento dei pesi e delle dinamiche e l'irritazione per la stucchevole celebrazione estatica di ogni boccone musicale come se fosse il più gustoso che si possa mai assaporare. Per Lang Lang è tutto grandioso. Lo struggimento è grandioso, lo è la passione, il gesto, i sentimenti suscitati dalla musica sono grandiosi, mentre non sembra tenere in minima considerazione tutte quelle sfumature di partecipazione e di articolazione che concorrono a determinare il sottotesto di un'interpretazione, il non detto rimesso alla sensibilità dell'ascoltatore.

© Naoya Ikegami | SUNTORY HALL

  Due ragioni per segnare il concerto in agenda, si diceva. Va da sé che la seconda fosse Tugan Sokhiev, sia per la curiosità di ascoltarlo in una pagina che frequenta da tanto tempo come la Quinta di Prokof'ev, e che ha anche inciso ai tempi in cui guidava la Deutsches Symphonie Orchester di Berlino, sia per testare i risultati del suo incontro con i Wiener Philharmoniker, i quali notoriamente non sono sempre ben disposti ad assecondare le bacchette estrose, quasi si beassero di cannibalizzare i maestri che si trovano davanti. E Sokhiev non scampa al destino di tanti.

  Certo Sokhiev è uno straordinario virtuoso della direzione, capace di tenere in controllo ogni dettaglio della partitura, almeno se si parla di pilotaggio musicale, e questo traspare nettamente anche con certo compiacimento dello stesso direttore. La sua tempra di interprete deve però scontrarsi con l'irriducibile identità dei viennesi. Riesce a domarla e imporre la propria cifra nei momenti più esuberanti, che carica di una violenza barbarica da cavalcata nelle steppe, con ottoni ruggenti e archi gravi inquieti, ma più spesso il suo gesto musicale esplosivo viene come assorbito e disinnescato dal velluto orchestrale. C'è ben poco da eccepire sulla qualità dei Wiener, che sono la meravigliosa orchestra che tutti conoscono, tuttavia la loro propensione alla rotondità e alla morbidezza costante è come se mediasse la carica ora vitalistica, ora drammatica, del direttore, addolcendone la traduzione in suono. I Wiener Philharmoniker, prima di fare Saint-Saëns, Prokof'ev, Beethoven o Strauss, fanno se stessi, applicando a tappeto il proprio codice estetico.

  Il loro Prokof'ev è talmente denso e felpato che pare smussato, soprattutto nei passaggi che si vorrebbero articolati con maggior irruenza ma che in fondo si stemperano nell’amalgama per certi versi “antico”, in un'epoca in cui va più di moda la trasparenza, dell'orchestra. Ne esce dunque una Quinta straordinariamente compatta e impastata nelle sonorità, e quindi poco incline all’analiticità, ma altresì levigata a tal punto da avere un'impronta molto più viennese che sokhieviana.

  Quel che è certo è che il pubblico di Tokyo ha gradito e accolto trionfalmente i musicisti, i quali si sono congedati solo dopo due bis mentre per Sokhiev le chiamate alla ribalta sono proseguite anche quando i professori d'orchestra avevano ormai abbandonato il palcoscenico.

© Naoya Ikegami | SUNTORY HALL


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