La folle giornata è un contenitore che raccoglie recensioni teatrali e discografiche di musica classica, sia cameristica che sinfonica, e opera lirica.
27 aprile 2014
Dudamel e i Göteborgs Symfoniker in concerto a Udine
11 aprile 2014
Johannes Passion a Pordenone
Non v'è dubbio che l'orchestra bavarese, e ancor più il coro, nati intorno la metà del secolo scorso per volontà di Karl Richter, posseggano uno stile ed una specificità di linguaggio ricamati sulle necessità della musica di Bach. Non che si tratti di una compagine filologica in senso stretto, bensì di un'orchestra che mescola con equilibrio strumenti moderni, rigorosamente suonati secondo prassi antica, ad opportuni innesti (clavicembalo appunto, viola da gamba, violone, tiorba).
Sorprendente il coro, capace di sonorità rarefatte ed eteree ottenute grazie ad un'emissione scoperta dei cantanti, mirata alla valorizzazione della parola ed alla trasparenza piuttosto che alla rotondità di suono. Discorso che potrebbe essere ripreso pari pari per i solisti la cui tecnica vocale ricalca quelli che sono i crismi del canto barocco contemporaneo.
L'orchestra, guidata da Hansjörg Albrecht, suonava con equilibrio, eleganza, grande precisione (fatti salvi taluni pasticci dei flauti e degli oboi nella prima parte), rispondendo perfettamente alle suggestioni del podio. Albrecht sapeva infondere all'oratorio un ritmo teso grazie alla scelta di tempi agili ed al ruolo centrale affidato al basso continuo, portato ad imprimere vivacità e tensione alla narrazione.
In un cast omogeneo e complessivamente convincente, si distingueva l'Evangelista del tenore Thomas Michael Allen, voce chiara, di timbro quasi contraltino, capace di reggere con sicurezza e padronanza l'insidiosa scrittura della parte. Il cantante, a dispetto di alcune imprecisioni nei passaggi più probanti sotto il profilo virtuosistico, si dimostrava in possesso di un'eccellente gestione del fiato nonché di inappuntabile dizione (caratteristica fondamentale per la voce narrante dell'oratorio).
Klaus Häger, chiamato a sostenere sia la parte di Jesus che le arie da basso dopo la defezione di Thomas Tatzi, leggeva la musica bachiana accentuandone la dimensione mistica. Il Cristo solenne, quasi austero, di Häger, pareva distante dalle sofferenze dell'uomo umiliato e straziato dalla passione ma già proiettato verso la trascendenza. Pur con qualche tensione ed opacità nel registro acuto, il basso si distingueva per autorevolezza vocale e pregnanza stilistica.
Commovente la prova del mezzosoprano Stefanie Iranyi, cantante che trovava nella musicalità e nella cura dell'espressione i propri punti di forza. Piaceva senza riserve nell'esecuzione dell'aria Es ist vollbracht, prodigio di eleganza ed equilibrismo vocale, perfettamente sostenuta dal canto lacerante della viola da gamba.
Christina Daletska, a dispetto di alcune fissità in acuto, risolveva senza imbarazzi la parte del soprano.
Convincente per volume ed accento il basso Freddy Jost, impegnato nelle brevi parti di Pietro e Pilato.
A fine concerto accoglienza trionfale del pubblico pordenonese per tutta la compagnia.
6 aprile 2014
Orlando Paladino a Gorizia
È sempre triste vedere un teatro deserto, soprattutto quando il palcoscenico ospita uno spettacolo degno di ben altra considerazione. L'Orlando Paladino di Joseph Haydn andato in scena al Teatro Verdi di Gorizia il 5 aprile scorso, in un clima spettrale, avrebbe meritato l'attenzione e il plauso di un pubblico molto più consistente delle poche decine di appassionati che hanno deciso di trascorrere il sabato sera all'opera.
Già ad un primo colpo d'occhio si intuisce che il budget della produzione è esiguo: il palcoscenico accoglie nella metà sinistra l'orchestra mentre il “dramma eroicomico”prende vita accanto. La scenografia è esigua, costituita da sole cassette di legno colorate che verranno continuamente spostate, accatastate, impilate, sormontate, persino indossate dagli artisti sulla scena, così da costruire un ambiente in costante mutamento. I cantanti, quando non direttamente coinvolti dall'azione, rimangono sul palco in qualità di mimi, diventando all'occorrenza creature della foresta, serpenti o destrieri da cavalcare.
Gli abiti sono semplicissimi, stereotipati come nei giochi dei bambini, la recitazione spigliata e curatissima, non c'è un attimo di tregua o immobilismo, non c'è noia. Alcune trovate sono leggermente forzate, talvolta l'effetto comico è cercato ad ogni costo anche quando non sarebbe necessario, tuttavia è davvero poca cosa alla luce del risultato complessivo e della difficoltà di risolvere con coerenza e senza cedimenti di tensione un'opera dalla trama tanto scombinata.
Merito del regista Vincent van den Elshout, capace di infondere vivacità e freschezza di idee allo spettacolo, ma anche dei solisti, ammirevoli nell'unire ad una preparazione musicale all'altezza della situazione, doti sceniche tutt'altro che comuni.
Rafael Vazquez Sanchis, tenore, era un Orlando convincente per vocalità e presenza, molto ironico nel giocare con un fisico dall'aspetto tutt'altro che eroico. Piaceva Dorothée Lorthiois, Angelica dalla bellezza quasi adolescenziale, che, pur in possesso di voce dal timbro peculiare, sapeva svettare con luminosità nel registro acuto.
Cozmin Sime offriva la propria voce, di bel colore e ben emessa, ad un Rodomonte privato di ogni dimensione eroica o regale. Il Medoro di Christo Kechris aveva voce anonima ed ottime intenzioni purtroppo non sempre sostenute da un controllo tecnico all'altezza. Sophie Goldrick riscontrava non poche difficoltà nel risolvere una parte, quella di Alcina, troppo grave per la sua vocalità. Molto buona la prova di Olga Siemienczuk, Eurilla di timbro gradevole e solida musicalità. Alberto Sousa (Pasquale/Licone), cantante dalla tecnica sicuramente agguerrita, sapeva padroneggiare l'impervia estensione richiesta dal doppio ruolo senza cedimenti. Impressionava Daniel Borowski, basso dallo strumento importante, impegnato con ottimi risultati nella pur piccola parte di Caronte.
L'Orchestra Purpur, diretta da Michael Fendre, a dispetto di alcune ruvidezze timbriche ed imprecisioni imputabili alla giovanissima età dei musicisti, esibiva ottima coesione e compattezza. Il direttore sapeva infondere buon ritmo alla narrazione puntando su una concertazione vigorosa, bruciante nella scansione ritmica e molto curata nelle sfumature dinamiche.
A fine esibizione, in un clima quasi surreale, lo sparuto pubblico salutava la compagnia con calorosi (e meritatissimi) applausi.