29 agosto 2011

La Cambiale di Matrimonio per il Piccolo Festival del FVG

La Cambiale di Matrimonio non è il capolavoro di Rossini né potrebbe esserlo in ragione della giovane età e dell’inesperienza che il compositore pesarese aveva all’epoca della stesura avvenuta nel 1810. Ad ogni modo si tratta di un’opera che, se messa in scena con un cast all’altezza ed un allestimento adatto, diverte e convince.

Lo spettacolo presentato ad Udine domenica 28 agosto presso il chiostro dell’educandato Uccellis per il Piccolo festival del Friuli Venezia Giulia è andato ben oltre le attese superando per qualità musicale e teatrale molti allestimenti ben più pretenziosi che hanno girato le piazze regionali nell’ultimo periodo.
Come detto si tratta di un Rossini minore, una farsa comica dalla trama improbabile ma divertente anche per merito di un libretto agile e brillante musicato da un Rossini forse immaturo ma che lascia già scorgere l’immenso potenziale compositivo e teatrale che tutti conoscono.
La storia narrata è piuttosto semplice e ricalca fedelmente la tipica architettura dell’opera buffa. La giovane Fanny, innamorata di Edoardo viene promessa in sposa al ricco americano Slook dal padre Tobia Mill. Con l’aiuto dei servitori Norton e Clarina, i due innamorati riesono a scongiurare il matrimonio imposto e ad accattivarsi la simpatia di Slook stesso che, non solo accetterà di buon grado il rifiuto, ma in un atto di inspiegabile filantropia nominerà il giovane che gli ha rubato la moglie erede di ogni sua ricchezza (misteri dell’opera).

Le scene dello spettacolo, curate da Davide Amadei, spostavano l’ambientazione in un magazzino ricolmo di casse contenenti confezioni di pasta, adibito ad ufficio. Tra queste si muovevano i sei cantanti ben coordinati dalla regista Leigh Holman cui va dato il merito di aver escogitato alcune soluzioni particolarmente divertenti che il pubblico ha dimostrato di gradire. 

Merito senz’altro condiviso con i solisti che hanno saputo unire alla prestazione canora una prova attoriale di tutto rispetto. Tobia Mill era Andrea Zaupa, basso dalla vocalità esuberante e ben controllata. Jeffrey Seppala dava corpo e voce ad uno Slook versione cow boy più giovane e vigoroso di quanto ci si aspetterebbe eppure efficace mentre Francesca Salvatorelli tratteggiava una Fanny graziosa e ben cantata. 
All’altezza anche l’Edoardo di Riccardo Gatto, la vispa Clarina di Chiara Brunello e il Norton di Wei Wu.

Buona la prova della Piccola Orchestra del Friuli Venezia Giulia che unisce giovani talenti provenienti dai conservatori regionali e dall’Austria diretta da Massimo Alessio Taddia che nel rispetto del dettato rossiniano ha optato per un’orchestrazione leggera e brillante.

Insomma, uno spettacolo meritevole giustamente applaudito dal pubblico udinese anche in ragione della giovane età di tutti gli interpreti che sarà replicato martedì 30 agosto a Tricesimo, giovedì 1 settembre a Trivignano Udinese e venerdì 2 a Maniago.

Paolo Locatelli
paolo.locatelli@ildiscorso.it
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8 agosto 2011

Una Carmen d'altri tempi a San Vito al Tagliamento

È senz’altro un’iniziativa lodevole portare la lirica nella piazze, uscire dalla sacralità del teatro per offrire l’opera ad un pubblico più ampio che probabilmente in teatro mai metterebbe piede. È altresì ingenuo, se non pretestuoso, spacciare simili iniziative per strumento di salvaguardia del patrimonio culturale italiano o, peggio, elevare la modestia al grado di eccellenza, la periferia al livello di capitale, come avvenuto puntualmente nel preludio propagandistico alla recita.

La Carmen non dispiace mai, il pubblico applaude contento le pagine più note, sonnecchia o chiacchiera durante gli “intervalli musicali” tra le stesse, interrompe lo spettacolo con applausi fuori luogo e fuori tempo, qualcuno canticchia, i bambini gridano tutto il loro disappunto. Praticamente ciò che avviene in quasi tutte le piazze operistiche all’aperto, anche nelle più blasonate.

Lo spettacolo è tradizionale al massimo, dalla protagonista fatalona all’Escamillo che canta, peraltro bene, i suoi couplets in piedi sul tavolo, dalla Micaela oratoriale con le mani congiunte al Don José incazzato per tre atti su quattro. Lascia perplessi la genericità con cui tale impostazione, peraltro legittima, viene affrontata, sottovalutando l’immenso potenziale drammatico del titolo o sperando che questo da solo possa sostenere il peso dello spettacolo che invece necessiterebbe di una regia. Ci si deve così accontentare di ascoltare coro e solisti (non proprio inappuntabili) cantare immobili o tutt’al più esibendo una generica concitazione, costantemente rivolti al pubblico senza nemmeno tentare di interagire tra di loro.

Tutto ciò desta l’interrogativo su quale sia la concezione dell’opera presso il grande pubblico e su cosa questo si aspetti dal teatro musicale il quale dovrebbe essere appunto teatro e non un concerto in costume. Quest’idea polverosa dell’opera riporta al melodramma d’altri tempi, quello che ha cominciato ad estinguersi oltre cinquant’anni fa, che se un tempo non aveva alternative, oggi non ha ragione di esistere.