2 novembre 2023

Alla Fenice tornano i due Foscari

  La più veneziana delle opere di Verdi non entrava nel cartellone del Teatro La Fenice dal 1977. È dunque un peccato che un lavoro geniale ma ancora un po’ acerbo come I due Foscari, in cui, al netto di una costruzione drammaturgica disorganica, basterebbe sforzarsi di scavare un po’ per trovare risvolti intriganti, vada in scena senza una regia vera e propria. Sì perché quel che Grischa Asagaroff realizza concretamente è poco più di una distribuzione scolastica del traffico di palcoscenico. Le arie, che sono tante e distribuite in modo tale da rendere la vita assai complicata anche a un regista ben più motivato, danno la sensazione del classico concerto in costume e anche le scene corali si risolvono nell’occupazione immobile degli spazi vuoti di coro e solisti, al cui buon cuore è demandato quel poco di autentica recitazione che si può apprezzare in mezzo al solito gesticolare più o meno stereotipato.

i due Foscari al Teatro La Fenice

  Inutile dire che il dramma pubblico e umano dei Foscari esca anestetizzato da tanta inedia e che ne patisca Verdi stesso, che in quest'opera per molti versi sperimentale introduce quel motivo che diventerà ricorrente (Aida, Don Carlos) di un potere superiore che sovrasta e domina il Re, la cui intangibilità dovrebbe incutere terrore e invece scivola via come fosse un giochetto da House of Cards.

  Non riscattano la pochezza di idee né i costumi d'epoca di Luigi Perego (in alcuni numeri molto belli, in altri no), che assolvono alla funzione di identificare i caratteri, né una scenografia non all'altezza per modestia realizzativa e farraginosità. La “ricostruzione” della Venezia storica si riduce a un parallelepipedo centrale dalle facce laterali diversamente decorate che ruotando (a fatica) cambia di volta in volta lo sfondo, talora con il contributo di proiezioni di rara bruttezza del Leone di San Marco. Poco, pochissimo anche per uno spettacolo incardinato nella tradizione più sonnacchiosa.

  Chi invece conosce e capisce a fondo Verdi è Sebastiano Rolli, il quale accompagna e concerta con sapienza, cosa che in questo repertorio specifico ancor più che altrove significa valorizzare le soluzioni espressive e timbriche in modo che la musica guidi la narrazione e ne magnifichi gli sviluppi drammatici (e che ci riesca appare evidente già dal bilanciamento così centrato del dialogo tra clarinetto e archi e nell’introduzione alla prima aria del tenore), perfettamente assecondato dall’orchestra di casa, che è in ottima serata sotto ogni punto di vista. 

  Quanto ai cantanti, il trionfatore della serata è Luca Salsi, che ormai domina ogni sillaba della parte di Francesco Foscari e la rifinisce con il colore e l'accento dosati al punto giusto per esaltarne la pregnanza teatrale, in un canto che è sempre (o quasi) morbido e timbrato ma soprattutto incisivo, dalla sortita a un terzo atto maiuscolo.

  Anastasia Bartoli trova in Lucrezia Contarini una parte che, battendo principalmente sull'ottava acuta, si sposa bene con le sue qualità. Ne regge la scrittura massacrante sia dal punto di vista muscolare che musicale, che è già dir molto, al netto di qualche forzatura incidentale negli estremi acuti; quel che ancora manca è uno scavo più approfondito della parola e una maggior varietà di dinamica, che tende quasi sempre a scivolare verso diverse declinazioni di forte.

  Francesco Meli non è invece nella migliore delle sue serate. Dopo un primo atto faticoso, in cui la voce dà l'impressione di non essere ancora a temperatura, va migliorando, ma incespica in qualche incidente di percorso che riesce a dribblare dando fondo ai trucchi di un mestiere consumato, ma senza mai dare la sensazione di essere in pieno controllo. Ottimo l'apporto delle parti di contorno, dal bieco Loredano di Riccardo Fassi, che si conferma tra i bassi più dotati della nuova generazione, al Barbarigo di Marcello Nardis, l’unico del Consiglio - un formicaio di togati disumanizzati - che sembra porsi scrupoli morali. Completano il cast Carlotta Vichi (Pisana), Alessandro Vannucci (un fante del Consiglio dei Dieci) e Antonio Casagrande (un servo del doge). In buona serata anche il coro preparato da Alfonso Caiani.

  A fine recita successo calorosissimo per tutta la compagnia con punte di entusiasmo per  Anastasia Bartoli e Luca Salsi.


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