29 maggio 2021

Note su note: Bruckner, sinfonie 2 e 8

Andris Nelsons è ormai uno degli artisti di punta della scuderia Deutsche Grammophon, forse il primo della lista, quello cui si affidano i cicli sinfonici del grande repertorio, da Šostakóvič a Beethoven. Con questa registrazione, che si suppone costituisca il penultimo capitolo, si avvia a conclusione anche l’integrale bruckneriana che si arricchisce di Seconda (versione 1877, edizione Carragan) e Ottava Sinfonia (versione 1890, edizione Nowak), anch’esse accompagnate da un brano wagneriano, scelta ricorrente nel progetto: un’Overture dai Maestri Cantori di Norimberga di struggente bellezza, in cui flessibilità, malinconia e amore per il dettaglio si fondono in un inestricabile tutt’uno.




Quanto a Bruckner, Nelsons si accoda al filone mitteleuropeo, rinfrescandolo con maggior propensione alla discorsività e alla brillantezza, a soppiantare certa retorica sussiegosa che suonerebbe ormai fuori tempo massimo. Evita così di prostrarsi nella contemplazione dell’imponenza architettonica, ma non arriva nemmeno all’estremo opposto, quello del Bruckner analitico di scuola nordica, scomposto e ricomposto mattone dopo mattone a sviscerarne la costruzione. 

È un Bruckner, quello di Nelsons, che pare voler fare il punto della situazione sul percorso della storia interpretativa dell’autore fino ad oggi, ma che rinuncia a spingersi oltre. Ci si ritrova dunque tutta la tradizione tardo-romantica, ammorbidita in una fluidità meno incline all’enfasi di quanto sia comune ascoltare ma con tutte le turbolenze, le impennate poderose e le tenerezze al posto giusto. E tutto sommato, con una macchina meravigliosa come la Gewandhausorchester di Lipsia davanti, che ha saputo preservare nel tempo il fuoco di una storia secolare, sarebbe difficile immaginare qualcosa di diverso. Quel che manca è un po’ di spregiudicatezza, forse anche un pizzico di cattivo gusto, insomma il coraggio di rompere i legami con il passato per provare a dire qualcosa di davvero nuovo.

21 maggio 2021

Note su note: Beethoven, Sinfonia No.7 e Concerto per pianoforte e orchestra No.4

Carriera fulminante quella di Lahav Shani (classe 1989), nato pianista, cresciuto contrabbassista e divenuto poi in un batter di ciglia direttore d’orchestra di prima fascia. Il primo premio alla Mahler Competition del 2013 gli è valso un tutto-e-subito impressionante: Wiener Philharmoniker, Israel Philharmonic, che ha scelto di affidargli la pesante eredità di Zubin Mehta, e Rotterdam Philharmonic Orchestra, di cui da un paio d’anni è direttore principale. 



È proprio con l’orchestra olandese che Shani realizza un disco, il suo primo dal podio, che è un viaggio nel Beethoven “di mezzo”, con la Settima sinfonia e il Quarto concerto per pianoforte, affrontato nella doppia veste di solista e direttore. Un biglietto da visita completo di una personalità eclettica ma ancora in fieri, che ha pregi e difetti della giovane età (artistica): tanta esuberanza e freschezza, un’energia urticante, ma anche una certa propensione al calligrafismo e alla discontinuità. O forse ha la sola colpa di avvicinare due opere dalle implicazioni mastodontiche senza averne ancora maturato una visione organica totalmente convincente. Ne esitano due splendide esecuzioni strumentali, impreziosite da un lavoro capillare di cesello delle linee, esposte e rifinite con chiarezza cameristica sia dal pianoforte che dalle voci orchestrali, ma che mai scavallano dall’ottima routine alla grande interpretazione, pur sfoggiando di momenti di grande impatto e una cura per il suono di tutto rispetto.