29 ottobre 2019

Da Padova a Pechino passando per Maribor

Certo modo di intendere l’opera, in cui il teatro viene parzialmente sacrificato sull’altare del colpo d’occhio, corre in bilico sul filo sottile che separa la spettacolarità dall’effettismo, laddove per effettismo si intende l’indugiare in effetti su effetti, tanti effetti, troppi, cui spesso non corrisponde una causa ben identificabile. Ci casca talvolta anche Filippo Tonon, omni-firmatario della Turandot in scena al Verdi di Padova, quando la voglia di sorprendere lo porta a eccedere in ori, teschi, veli e coriandoli dal cielo, o a sovraccaricare la recitazione. C’è qualche piccola ingenuità insomma in uno spettacolo per il resto più che apprezzabile, chiaramente inquadrandolo nel filone di quegli allestimenti lì, di tradizione dura e pura, da cui Tonon non finge nemmeno di discostarsi. Spettacoli arredativi o grandi affreschi corali, a seconda degli esiti e della malizia negli occhi di chi guarda, in cui si racconta una storia in modo lineare, condendola con qualche escamotage o accessorio che non ribalta nulla e spesso nulla aggiunge a quanto già si conosce dell’opera in questione, ma che se ben realizzati possono garantire una serata a teatro piacevole. E nel caso specifico la realizzazione è convincente.

foto: Francesco Pertini

C’è una Pechino evocata – potrebbe essere una città esotica qualunque – in tutta la sua favolistica astrazione, sbalzata tra l’opulenza della stirpe divina, unica fonte di luce in una narrazione notturna e tetra, e la miseria del popolo bue. Le scene sono semplici ma ben realizzate e hanno il pregio di scorrere agilmente, ma soprattutto c’è un buon lavoro di concertazione registica su masse e solisti, ancorché molto “classica” nell’impostazione.

Rebecca Nash è la classica Turandot con tanto volume e poche finezze, o meglio, con poca voglia di approfondire. La voce non è di timbro baciato dalla natura né, a onor del vero, viene sfruttata nel migliore dei modi possibili, perché la Nash avrebbe la tecnica per osare qualche sfumatura in più, visto che il controllo dello strumento è solidissimo e le note ci sono tutte. Sfumature che forse le uscirebbero più naturali se il tappeto orchestrale di Alvise Casellati le sollecitasse con maggiore convinzione. Invece Casellati non riesce proprio ad andare oltre un solido turgore di suono, ben concertato ma imbalsamato in un costante mezzoforte metronomicamente scandito. Purtroppo tutto il resto, cioè i cambi di tempo, i colori, gli sbalzi dinamici, non è che accennato o completamente negletto. Il secondo problema, che probabilmente è una conseguenza diretta del primo, è che manca una regia musicale. Un esempio banalissimo: nella scena degli enigmi il direttore ha un ruolo fondamentale nel narrare le esitazioni, i dubbi (finti o simulati), in definitiva nel gestire il ritmo teatrale e montare la suspense. Casellati va diritto, senza respiro, accompagnando senza raccontare.

L'Orchestra del Teatro Nazionale di Maribor viceversa si dimostra affidabilissima e probabilmente avrebbe le potenzialità per esprimere una varietà musicale superiore. Sbava qualcosa, ma sono piccolezze, per il resto il suono è sempre bello rotondo e ben amalgamato. Onestissima anche la prova del coro che, fatta la tara di qualche punta d’acidità laddove prevalgono le voci acute, è pregevolissimo.

 foto: Francesco Pertini

Di buon livello anche il resto del cast. L'emissione tendenzialmente di gola toglie a Gaston Rivero qualcosa in termini di squillo nel registro acuto ma gli conferisce un timbro dalla brunitura accattivante. Per il resto il suo Calaf è molto convenzionale sotto ogni punto di vista.

Erika Grimaldi è una Liù molto dolce e dall’emissione morbida cui si potrebbe chiedere solamente un briciolo di attenzione in più alla dizione, la cui chiarezza viene sacrificata alla rotondità del suono.

Al solito granitico il vocione di Abramo Rosalen, Timur. Ottime le tre maschere di Leonardo Galeazzi, Emanuele Giannino e Carlos Natale, che sono rispettivamente Ping, Pang e Pong, che Tonon risolve senza rinunciare né ai tratti marcatamente grotteschi, né a quelli più sadici.

Antonello Ceron non è certo una sorpresa e garantisce all’Imperatore Altoum tutto ciò di cui  necessita, Cristian Saitta è un Mandarino di lusso. All’altezza della situazione gli altri.

Buon successo di pubblico a fine recita.

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