23 ottobre 2019

Il canto della Terra

L’ombra della morte evocata più o meno indirettamente unisce la Trauer-Symphonie di Haydn, che a onor del vero non porta questo fardello per responsabilità del compositore, e il Lied von der Erde con cui Mahler tentò invano di gabbare la maledizione della nona sinfonia. Non servì, poco tempo più tardi il cuore l’avrebbe tradito.

È tuttavia ben diverso l’umore dei due lavori, o meglio, pur essendoci un’aura malinconica e assorta nella sinfonia haydniana, non vi si ravvisa quel proposito di congedo estremo che permea la composizione di Mahler, che forse non è tetra e rassegnata, ma proiettata “oltre” lo è per certo.

La distanza la mette ulteriormente in luce il giovin direttore Nicholas Carter, che di idee e qualità ne ha da vendere. Gli bastano un paio di battute della Sinfonia n.44 in mi minore per mettere subito in chiaro che lui è il genere di musicista che va in profondità se si parla di articolare e cesellare, che guarda a ogni linea e battuta con puntiglio. L’esito infatti, al netto delle sbavature della Kärntner Sinfonieorchester, è avvincente. Un Haydn vitalissimo e mobile che si beve tutto d’un fiato.



Nel Canto della Terra, Carter riesce a concedersi qualche guizzo in meno, perché tenere a bada il macchinario mahleriano è più complicato. C’è dunque un filo di prudenza, soprattutto all’inizio, dettata anche dalla necessità di scendere a patto con le voci.

Certo la Kärntner Sinfonieorchester è una buona orchestra regionale, ma regionale rimane. È discretamente precisa e pulita, capace di bel suono, ancorché un po’ secco, ma non raggiunge il virtuosismo e la limpidezza delle formazioni di prima fascia.

Tra i soli impegnati nella seconda parte spicca nettamente Annika Schlicht, mezzo dallo strumento rotondo e caldo con una punta nasale appena accennata, che canta con espressività, gusto e un’ampiezza di cavata niente male.  Più problematica la prova di Samuel Sakker, la cui voce, tutta in gola, mostra la corda ogni qual volta la tessitura si acuisce.

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