Nell’avvicinare un repertorio più o meno remoto ogni interprete deve porsi due problemi, di forma e di sostanza: c’è da un lato l’opportunità di ricreare, nei limiti delle possibilità, una prassi storicamente informata, d’altro canto non si può certo fingere che il tempo non sia trascorso e che il pubblico d’oggi non abbia una sua sensibilità propria, senz’altro differente da ieri e probabilmente da domani.
Se il primo ostacolo può essere scavalcato grazie all’adozione di strumenti d’epoca e del corretto stile esecutivo – per farla breve, ci si arriva più con la testa che con l’istinto – il passaggio successivo è questione che attiene all’arte, quindi alla sensibilità e all’esperienza. Diverso è preservare e, per certi versi tradurre a misura di orecchie d’oggi, lo spirito di una composizione di carattere sacro da una musica d’intrattenimento, come è differente il teatro operistico dal sinfonismo.
Ebbene Fabio Biondi e i suoi dell’Europa Galante sono il genere di musicisti che quando vanno indietro nei secoli sanno spuntare entrambe le caselle. Perché se la trasparenza del contrappunto e il carattere storico del Bach che “fanno” loro sono assicurati dall’equilibrio e dalla trasparenza dell’esecuzione, c’è altresì l’abilità di scongiurare il mero esercizio di stile.
Delle Ouvertures composte da Johann Sebastian Bach ne sono sopravvissute quattro, collocabili indicativamente tra la terza e la quarta decade del Settecento. Si era diffusa allora in Germania la moda delle Suite strumentali, in sostanza delle sequenza di danze che potevano essere o meno precedute da un’Ouverture, da cui il nome.
È su questo terreno minato che Biondi e i suoi si cimentano sul palco del Verdi di Pordenone, uscendone da vincitori. Al netto delle disomogeneità e delle distorsioni che gli strumenti d’epoca non risparmiano a nessuno, in questo Bach c’è vita. Biondi lo asciuga nell’organico e nell’articolazione senza scarnificarlo o rinsecchirlo, e senza nemmeno relegarlo in quell’isterismo rockettaro che, diciamolo, ha fatto il suo tempo. Apollo e Dioniso si guardano in faccia e si danno la mano insomma. Tenuta ritmica formidabile del continuo, tensione espositiva costante e flessibilità in ricamo di legni ed archi acuti: l’Europa Galante è una gran compagine, nessuno escluso. Si cita, senza fare torto agli altri, il flauto di Marcello Gatti che nell’Ouverture in si minore BWV 1067 si merita un’ovazione personale.
Successo calorosissimo.
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