3 gennaio 2019

La Cenerentola dei bambini chiude l'anno a Padova

Ammesso che le distinzioni brutali abbiano un qualche significato, ci sono opere da cantanti, opere da direttore e opere "ingranaggio" che come un castello di carte stanno in piedi solo se ogni tessera va al suo posto. La Cenerentola di Rossini è un po' così, teatro che si autoalimenta o opera da sole prime parti, in cui tutti devono guardarsi negli occhi e marciare con la stessa cadenza. Ebbene, al Verdi di Padova lo sanno e per la chiusura dell'anno solare ne hanno messo in piedi una produzione equilibrata, senza prime donne sgomitanti e senza gregari. Perché Annalisa Stroppa, Angelina, è bella e brava, ma gli altri non sono da meno. C'è Xavier Anduaga ad esempio, che è un Ramiro forse un po' da limare qua e là (in realtà solo nelle agilità e nella recitazione) ma dalle qualità eccezionali. Ha voce di timbro speciale, tanto volume e dei Do che riempiono il teatro. D'accordo, il suo canto è più "di natura" che "di tecnica", e qualche suono va ancora messo nella giusta posizione, ma i mezzi sono straordinari e la sua spontaneità d'approccio non fa loro alcun torto. Della Stroppa si è già fatto cenno. Ha un medium avvolgente e ricco, lega e sfuma con classe e ha tutta la dolcezza che la parte richiede. Nel Rondò poi dà prova di sapersi disimpegnare con maestria anche nelle colorature, insomma, è una Cenerentola con la C maiuscola.

Foto: Nicola Fossella

Marco Filippo Romano ha forse uno strumento meno dovizioso per ampiezza e grana, ma è artista fin nel midollo, sicché accenta, recita, colora e sillaba da Grande, direbbe Dandini. Dandini che è Alessio Arduini, la cui musicalità e pregio del materiale non costituiscono certo una sorpresa (anche se forse la tessitura è un pochino troppo grave per la sua vocalità).

Benissimo Gabriele Sagona che è un Alidoro come si deve, cioè non un comprimario ma una prima parte, e nella sua aria si riempie di gloria perché all’omogeneità e alla pulizia del canto unisce un pasta vocale da violoncello.

Completano il cast Irina Ioana Baiant e Alice Marini (rispettivamente Clorinda e Tisbe) che sono belle e disinvolte, sgarrano un paio di attacchi e gracchiano qualche acuto, ma nel complesso sono nello spirito dello spettacolo, che è quel che più conta.

Foto: Nicola Fossella

Uno spettacolo piacevole e divertente, che riconduce la vicenda a una storia per bambini giocata da bambini, che si muovono (molto bene, perché Paolo Giani la regia la fa davvero e non si limita ad abbozzare scene e costumi) da lillipuziani in un mondo in macroscala. La pedana rotante – e un po' cigolante, ahinoi! – ribalta la scena ogni tre per due, il resto lo fanno cantanti, coro e mimi, che sono diretti con dinamismo e, chi più chi meno, non senza finezza. C'è forse qualche cosa di troppo? Può darsi. La matrigna (Linda Zaganiga) e la scena della cantina trasposta in una classe di alunni terribili sono forse poco funzionali alla drammaturgia, o quantomeno non vi aggiungono molto, ma non fanno nemmeno danno e certo non rovinano un allestimento che funziona dall'inizio alla fine.

Le poche note dolenti arrivano dal podio. Antonello Allemandi infatti inciampa in quello che è l'errore capitale per un direttore d'opera: marcia a testa bassa seguendo il proprio sentiero, che talvolta non coincide con quello dei cantanti. Così capita spesso che nei concertati (e non solo) il palco rimanga indietro o che qualcuno si perda per strada, senza che dalla buca di faccia granché per salvare tempestivamente la situazione. Peccato perché per il resto l'Orchestra di Padova e del Veneto è limpida e brillante e l'esecuzione strumentale riesce tesa, pur nella sua squadratura. I tempi sono tendenzialmente spediti, l'articolazione netta e incisiva e anche le dinamiche chiaroscurate il giusto. Forse sarebbe bastata qualche prova in più per oliare la macchina.

Onesta la prova del Coro Lirico Veneto preparato da Stefano Lovato.

Successo caloroso per tutti.

Foto: Nicola Fossella

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