Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di incontrare uno dei giganti della musica contemporanea, Krzysztof Penderecki, e di scambiarci qualche parola prima di ascoltarlo in concerto. Ormai da diversi anni il Teatro Comunale Giuseppe Verdi Pordenone celebra la Giornata della Memoria e quest’anno l’ha fatto proprio con Penderecki, il "classico postmoderno", quello che secondo il Guardian è il più importante compositore vivente.
Dmitrij Šostakovič non fu certo l’unico a subire l’accusa di formalismo in tempo di grandi purghe, sorte analoga toccò anche a Mieczyslaw Weinberg, la cui vita fu salvata solo dalla morte di Stalin nel 1953, a condanna ormai certa. Fu un destino beffardo il suo: nato a Varsavia da famiglia ebrea, scappò all’invasione del Terzo Reich trovando riparo prima a Minsk, quindi in Uzbekistan e infine a Mosca, dove lo accolse un regime altrettanto spietato e sanguinario. Fu lo stesso Šostakovič a sostenerlo, difenderlo e infine promuovere la sua musica, quando gli spettri del terrore si dissolsero, e a consentirne una parziale riabilitazione che tuttavia non gli rese mai la gloria che forse avrebbe meritato.
Andò peggio a Viktor Ullmann, anch’esso ebreo ma di nascita viennese, che non riuscì a sottrarsi alle bestialità dei nazisti e in Polonia ci morì, ad Auschwitz, nel 1944.
Com’è noto, fu proprio la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz ad opera dell’armata rossa il 27 gennaio del 1945 a fissare sul calendario la data di quello che sarebbe diventato il Giorno della Memoria, ricorrenza che ormai da diverse stagioni viene celebrata dal Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone, quest’anno proprio con un concerto che parte dai due musicisti citati.
Ce n’è poi un terzo, polacco anch’esso, che a differenza dei precedenti la gloria l’ha raggiunta ed ora, all’alba degli ottantacinque anni d’età, può considerarsi uno dei compositori più affermati e influenti in circolazione: Krzysztof Penderecki. È toccato a lui e alla Sinfonietta Cracovia ripercorrere questi sentieri della memoria che si sviluppano intorno alla Polonia, accodandosi a Weinberg e Ullmann con la sua Quarta Sinfonia.
Krzysztof Penderecki, nato a Dębica nel 1933 e formatosi al conservatorio di Cracovia – lo stesso in cui studiò Weinberg – dopo aver abbracciato le avanguardie degli anni ‘50, raggiunse la fama internazionale con la monumentale Passio et Mors Domini Nostri Jesu Christi Secundum Lucam e i successivi Diavoli di Loudun, un’opera sinistra in cui si racconta il processo per possessione demoniaca del vicario Urbain Grandier. Due modi opposti di accostarsi alla religione, tema che ispirerà una fetta consistente della produzione del cattolicissimo Penderecki; religione che non è solo questione di fede e spiritualità ma anche culturale: “La Polonia – spiega – ha una tradizione cattolica molto radicata che è stata ripetutamente repressa nel corso della storia e quasi annientata dal comunismo, al punto che la fede diventò quasi un mezzo di riscatto identitario del popolo polacco, di affermazione della propria cultura”.
Anche la Sinfonia n.4 – quella formalmente più solida, per sua stessa ammissione – è in qualche modo legata al comunismo, perché nata proprio nel momento del suo crepuscolo (1989). Rispetto ai lavori della giovinezza la Quarta pare in controtendenza, rispolverando un linguaggio musicale proprio degli albori del secolo piuttosto che delle avanguardie da cui Penderecki era partito e che volevano segnare il passo rispetto a una concezione estetica dell’arte che era culminata nella catastrofe del mondo europeo. Non è un caso: la produzione di Penderecki è caratterizzata da un processo di ricerca inesauribile che si traduce in una mutazione continua dello stile e del suono, eclettismo che è stato ulteriormente esasperato dagli incontri con gli artisti per cui ha composto: “Io scrivo la mia musica in modo diverso in base al destinatario: ho collaborato con Isaac Stern, Mstislav Rostropovič, di cui ero molto amico, Anne-Sophie Mutter e, occasionalmente, Leonard Bernstein. Per me il contatto con l’artista è fonte di ispirazione e arricchimento personale, ho avuto anche l’occasione di conoscere Šostakovič e Weinberg”.
Ovviamente non ci sono solo gli artisti ad influenzare la musica di un compositore: “Se dico chi sia il compositore che prendo a modello potreste mettervi a ridere, per me la musica più grande l’ha scritta Johann Sebastian Bach: l’aspetto polifonico, le forme di molte mie composizioni riprendono modelli che arrivano direttamente da lì, sin dalla Passione secondo San Luca. La Passione è stata la prima opera di grande importanza e dimensioni che ho scritto, nonché il primo pezzo di musica sacra ad essere eseguito in Polonia in epoca comunista, precedentemente nel mio paese la musica religiosa non era autorizzata”.
Certo per il pubblico italiano la musica contemporanea non è pane quotidiano, anzi, è da molti considerata ostica. “È un problema di educazione musicale del pubblico, di abitudine all’ascolto, non riguarda la complessità dei lavori. In Polonia fortunatamente la musica contemporanea ha sempre trovato posto e la Passione secondo Luca lo dimostra: dare spazio a una composizione del genere nel 1966 fu un atto di grande coraggio, io fui il primo a cui fu data questa opportunità e da allora di musica contemporanea se ne suona molta e il pubblico ha sempre risposto positivamente”.
E in effetti ha risposto trionfalmente anche il pubblico pordenonese. Il rigore e la brillantezza che Penderecki dimostra d’avere parlandoci a quattrocchi, sono gli stessi che porta (ottantacinquenne!) sul palco nel dirigere la sua Sinfonia n.4. Grandissima chiarezza espositiva e un senso dell’architettura incrollabile sono i tratti che colpiscono maggiormente nell’esecuzione di quest’opera in cinque movimenti, che scorrono via uno dopo l’altro senza pause.
Che questo repertorio sia moneta corrente per la Sinfonietta Cracovia – orchestra duttilissima e molto precisa, dalla tinta tendenzialmente cupa ma per nulla pesante – è evidente dalla qualità della performance: estrema chiarezza, equilibri interni inappuntabili e grande qualità delle prime parti.
Le opere Weinberg (Concerto per violoncello e orchestra op. 43) e Ullmann (Concerto per pianoforte e orchestra op. 25) sono affidate alla bacchetta di Maciej Twore, assistente e discepolo di Penderecki, che ne serve un’esecuzione di sostanziale correttezza ma senza particolari guizzi, anche perché, se Marek Szlerzer al pianoforte si rivela musicista sensibile ed elegante, il violoncellista Jan Kalinowski pare impari alla difficoltà del lavoro che deve affrontare.
Intanto il teatro annuncia due appuntamenti extra per la stagione musicale: una lezione-concerto di Alfred Brendel, che verrà insignito del Premio Pordenone Musica, e il ritorno della Gustav Mahler Jugendorchester con Vladimir Jurowski e la violinista Lisa Batiashvili (30 e 31 marzo).
Nessun commento:
Posta un commento