14 dicembre 2022

Charles Dutoit torna a Udine

  È un Mozart distensivo e conciliante, quasi crepuscolare, quello che fa oggi Charles Dutoit. Un Mozart - Sinfonia 39 - senza strappi né muscoli in vista, morbido e ben smussato anche nei passaggi più accesi. Se l'ottima Orkester Slovenske filharmonije avesse una voce, si direbbe di un suono ben appoggiato su di una sana colonna di fiato, che ne rende limpida e vigorosa anche le dinamiche più leggere. Bene o male che sia, non è il Mozart di oggi, ma porta la testa altrove, soprattutto a certa tradizione viennese ormai démodé. Charles Dutoit non ha una formazione lineare come molti suoi coevi - ahimé ne sono rimasti pochi - ma ha seguito un percorso ibrido. Cresciuto con Ansermet e Munch, studiò tra Svizzera, Italia e Germania, assorbendo quelle che erano, allora, scuole affatto distinte. Negli anni ‘50, nemmeno ventenne, si trovò a suonare il violino per l’orchestra di Lucerna di fronte a Karajan durante un corso di direzione d’orchestra, che lo folgorò. In seguito trascorse gran parte della carriera oltreoceano, tra Montréal, Minneapolis e Philadelphia, e in Giappone. Ascoltandolo, oltre alla consapevolezza del musicista arrivato alla maturità estrema, si ammira l'epigono - in realtà verrebbe la tentazione di usare un termine meno “polite”: il sopravvissuto - di un'epoca che se ne è andata per sempre, lasciandoci ormai solo qualche testimone da ammirare con gratitudine.


  A dispetto dei suoi 86 anni, Dutoit, che ormai è un ospite fisso del Teatro Nuovo Giovanni da Udine, mantiene una brillantezza di presenza e di gesto da lasciare allibiti. Una freschezza che gli consente di mantenere un controllo assoluto dell'orchestra, che sovrasta in tutti i suoi 180 gradi di escursione senza perdersi un attacco scomodo né un'indicazione espressiva dove la ritiene necessaria, e che raggiunge l'apoteosi in una Valse, furbescamente posta a fine concerto, che gronda di vitalismo. È un brano che Dutoit ama e lo si percepisce, lo dirige a memoria aggiungendo alla precisione e alla compattezza espresse nelle opere precedenti una flessibilità garbata, non esangue, tutt'altro, ma nemmeno ostentata.

  Nel mezzo c'è Petruška, una prova di bravura per l'orchestra, che nel giro degli ultimi anni è cresciuta molto, e direttore, il quale dà una lezione pratica di concertazione e pilotaggio, con una chiarezza del braccio destro esemplare. Gli equilibri sono perfetti, tanto più che il suono chiesto da Dutoit è bello corposo, la struttura e gli incastri idem. Certo, mancano la scioltezza e la fluidità delle orchestre top-mondo nei passaggi più ostici, e non potrebbe essere altrimenti, ma quel che fa ascoltare la Filarmonica Slovena è notevolissimo, sia per quanto attiene alla qualità dell’amalgama, sia negli interventi delle prime parti, in special modo legni e percussioni.

A fine concerto successo molto caloroso per orchestra e direttore.

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