6 dicembre 2023

Intervista ad Angela Denoke

Intervista inedita al soprano tedesco Angela Denoke realizzata nell'estate del 2020, in occasione della tournée estiva con la Gustav Mahler Jugendorchester accanto al giovane direttore Tobias Wögerer

   La sua storia è atipica. Arrivata al canto relativamente tardi, dopo un brevissimo tirocinio nella provincia tedesca venne catapultata dal duo Abbado-Mortier nell’Olimpo di Salisburgo, da cui non si sarebbe più schiodata. Quell’azzardo non solo le spalancò le porte del successo, ma anche di un repertorio che avrebbe egemonizzato nei decenni a seguire. Da allora certo Wagner, le eroine maledette di Janáček, molto Strauss, le “Marie” di Berg e Korngold, ma anche le tragiche outsider del repertorio russo novecentesco divennero affar suo, almeno nei teatri che contano. 

   Oggi Angela Denoke si divide tra palcoscenico, qualche allievo e una carriera allo stato embrionale da regista. Nell’estate appena trascorsa è tornata in Italia accanto a una delle figlie più nobili del suo mentore Claudio Abbado, la Gustav Mahler Jugendorchester, in residenza tra Bolzano e il Teatro Verdi di Pordenone, dove la incontro, impegnata in un programma riadattato a misura delle  restrizioni di organico imposte dai tempi. 

Ha scelto lei questo programma? 

   In un certo senso sì. Originariamente era prevista una tournée con grande orchestra, poi ovviamente abbiamo dovuto cambiare i piani in corsa. Erwartung era già in programma nella sua versione a pieno organico, io però conoscevo questo riadattamento per piccola orchestra che avevo cantato tempo fa e ho pensato che fosse una buona soluzione. I Lieder eines fahrenden Gesellen, in questo arrangiamento cameristico di Arnold Schönberg, invece sono proprio andata a cercarli.

Intervista al soprano Angela Denoke


È diverso cantare con un ensemble da camera rispetto a una grande orchestra? 

   Sì, ma non perché cambi il mio modo di interpretare o esprimermi, la differenza è che con un’orchestra piccola spesso non riesco a sentire gli strumenti alle mie spalle e quindi devo contare per non perdermi. 

La Gustav Mahler Jugendorchester è una delle orchestre fondate da Claudio Abbado, che diede inizio alla sua carriera internazionale. Che ricordo ha di lui?

   Lo adoravo. Dopo qualche produzione in un contesto decisamente minore, nel piccolo teatro di Ulm, lui e Gerard Mortier mi scritturarono come Marie nel Wozzeck al Festival di Salisburgo. Per me fu la prima esperienza in un teatro importante e di fatto la mia carriera inizio lì. Ho avuto a che fare con la musica per tutta la vita, ho iniziato a studiare pianoforte da bambina ma non avrei pensato di fare la cantante, infatti la mia carriera è iniziata tardi, intorno ai trent’anni, fino ad allora pensavo che avrei fatto l'insegnante.

Però è partita subito dal livello più alto. 

   Sì. Claudio era un grande sia nelle prove che in recita, aveva questa capacità unica di infondere fiducia, mi incoraggiava sempre a esprimere la mia personalità, la mia musicalità, ad alzare il livello e a tirare fuori quel che avevo dentro senza timori. È un approccio che da allora ho sempre cercato di mantenere e amo molto i musicisti che si fidano del cantante e lo stimolano alla ricerca.

È una qualità comune tra i grandi direttori?

   In realtà no. Qualcuno apprezza questo approccio, ma in genere ti consentono di farlo in modo passivo, con le tue sole forze, senza che siano loro a incoraggiarti come faceva Claudio. Claudio mi diceva: hai qualcosa da raccontare, mostramelo. Anche se ero molto giovane, da lui ho imparato ad avere fiducia in quello che stavo facendo, a osare, ed è una cosa che mi sono portata dietro. 

In seguito ha lavorato con molti dei più importanti direttori dei giorni nostri, c'è qualcuno che è stato altrettanto importante per lei?

   Posso dire che ci sono delle fasi, dei cicli, magari capita di lavorare per un certo periodo frequentemente con un direttore e poi succede qualcosa e improvvisamente si interrompono i contatti. Mi è capitato ad esempio con Barenboim, con cui collaboravo spesso: saltò una produzione e da allora ci perdemmo di vista per qualche anno. Il bello di queste relazioni altalenanti è che danno modo di rinnovare continuamente le esperienze e quando finisce un percorso ce n'è subito un altro pronto a iniziare e così via.

Lei ha un repertorio inusuale che non è proprio quello tipico del soprano. 

   Sì, diciamo che sono una via di mezzo tra soprano e mezzosoprano. 

Non intendevo in questo senso, parlo proprio del suo repertorio: lei ha costruito la sua carriera fondamentalmente sulla musica tedesca, su Janáček e sull'opera russa, mentre ha tralasciato il grande repertorio italiano o francese. È stata una sua scelta?

   Non sono stata io a scegliere il mio repertorio, è lui che ha scelto me. Dopo questo Wozzeck a Salisburgo le proposte sono andate in una determinata direzione che ha funzionato e quindi da lì mi sono incanalata verso un un repertorio di questo tipo. Mi piaceva, mi ci trovavo bene e riscuoteva successo, quindi ho continuato su quella strada. Dopo Wozzeck, Mortier mi offrì subito la Káťa Kabanová nel ‘98 e da allora è partito un processo di inerzia incoraggiato dal consenso del pubblico. Mi ci sono trovata dentro quasi per caso ma ho scoperto che funzionava, forse anche perché questo repertorio è una perfetta combinazione di canto e recitazione.

A Salisburgo poi ha fatto molto altro.

   Sì, Makropulos, la Contessa, Marietta di Die tote Stadt...

È vero che Marietta di Korngold è molto pesante per la cantante?

   Lo è davvero, perché passa da una scrittura quasi mezzosopranile vicina al parlato a un finale in cui la tessitura si fa sempre più più alta. Poi ci sono molti sbalzi, è davvero una parte ostica da cantare, più pesante di Salome, anche se non sembra. Me l'hanno proposta ancora cinque anni fa ma ho rifiutato, credo che quel tempo sia finito.

Un cantante dovrebbe avere l'intelligenza di capire quando è il momento di dare una svolta al repertorio. 

   Sì, ma non è affatto semplice, anche perché la tua reputazione nell'ambiente è legata a un certo tipo di opere e personaggi e i teatri continuano a chiamarti per quelli. Bisogna avere la forza per proporsi anche sotto nuove vesti. Ad esempio io ho cantato Salome per tantissimi anni ma a un certo punto ho deciso che non era più opportuno che la facessi e sono passata a Erodiade. Poi ci sono altri personaggi come Kundry che posso cantare ancora senza problemi, ma non vale per tutti.

Lei è stata anche un’apprezzata Crisotemide, mentre non ha mai affrontato Elektra.

   No, ma ci sono andata molto vicina, poi per una serie di contingenze saltò la produzione in cui avrei dovuto cantarla. Tenere in repertorio questi ruoli impone anche dei problemi di abbinamento: bisogna scegliere con attenzione le opere da avvicendare, perché mettere in serie due personaggi con caratteristiche di scrittura vocale molto diverse può creare delle difficoltà. Ad esempio passare da Kundry a Marietta è disagevole, perché la prima ha una scrittura centrale che induce ad aprire e allargare la voce, mentre la seconda richiede una vocalità più sottile e una maggiore estensione. 

E a Clitennestra ci ha pensato?

   Mi piacerebbe molto farla, me l'hanno offerta in passato ma sfortunatamente alla fine è saltato tutto.

Ci sono altre opere che vorrebbe cantare nei prossimi anni? 

   Vorrei allargare il mio repertorio in direzioni diverse. Come detto ho debuttato in Erodiade, poi dovrei affrontare Miss Grose nel Giro di vite di Britten. Cerco di capire quali sono i personaggi in cui posso entrare comodamente e quali invece mi sono preclusi, ma non è facile diventare improvvisamente la vecchia della situazione (ride).

Invece non ha mai affrontato repertorio italiano. Come mai?

Semplicemente perché c'è chi può fare quel repertorio meglio di me. Una volta Mortier mi propose di fare Elisabetta di Valois, così ho provato a studiarla ma ho capito presto che non si confaceva alle mie caratteristiche, quindi ho lasciato perdere. Certo mi sarebbe piaciuto molto cantarla, ma non credo che sarei stata brava quanto avrei voluto.

E tra i grandi registi c’è qualcuno che è stato più importante degli altri nel suo percorso.

Ho imparato molto da Christoph Marthaler. Lui ti incoraggia a trovare un tuo modo personale di interpretare un determinato personaggio, guardando ai dettagli e non al grande gesto. Nella scena finale dell’affare Makropulos dovevo stare ferma in piedi davanti al pubblico, quasi a raccontare la storia senza muovermi, il che non è per niente facile: bisogna essere molto concentrati per trovare la giusta intensità, visto che in un momento così drammatico la tentazione è inevitabilmente quella di sovraccaricare per esprimere di più. Lui mi insegnò a raggiungere questa intensità lavorando di sottrazione.

Ci sono cantanti del passato che ammira o che hanno influenzato la sua carriera? 

Sì, ce ne sono. Mortier diceva che gli ricordavo molto Hildegard Behrens e anch’io amavo molto la sua intelligenza nel lavorare il materiale musicale, poi adoro Janet Baker, anche per l'eclettismo del repertorio, e Anja Silja, quando stava sul palco non si poteva guardare da nessun'altra parte.

Nel farle la domanda precedente pensavo proprio alla Silja, lei la ricorda molto anche come approccio all’evoluzione del repertorio.

Ci ho anche cantato insieme e posso dire che è una “matta”, nel senso buono della parola, è una persona meravigliosa. È magnetica, ha questa capacità di stare sul palco e catturare l’attenzione della sala, è impossibile staccarle gli occhi di dosso.

Lei insegna?

Sì, ho degli allievi che vengono da me e faccio delle masterclass. Cerco di esplorare le diverse sfumature di questo mestiere, ad esempio il prossimo anno debutterò anche come regista.

Ah questo non lo sapevo.

Sì, la prima produzione sarà una Káťa Kabanová a Ulm e poi dovrebbe arrivarne anche una seconda, che però al momento non è ancora definitivamente stabilita.

A questo punto le manca solo la direzione d’orchestra.

Ci ho pensato e ho anche studiato per farlo, ma credo sia troppo tardi per iniziare in modo serio una carriera di questo tipo.

Nessun commento:

Posta un commento