La leggenda narra che Jean-Marie Leclair, pugnalato a morte, abbia stretto a sé il suo Stradivari, l’unica cosa che gli rimaneva. Cadavere e violino sarebbero stati rinvenuti solo due mesi dopo l’omicidio, quando ormai restava impressa sul legno l’impronta nera della mano della vittima. Probabilmente le cose non andarono proprio così, ma poco importa. Da allora quello Stradivari del 1721, il Leclair appunto, è noto come Le violon noir.
Oggi il violino nero appartiene a Guido Rimonda. Il carattere è quello tipico degli Stradivari: suono non grande ma caldo e penetrante, intrinsecamente luminoso e sensuale. Se n’è avuta prova al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone, dove Rimonda accanto alla figlia Giulia e alla Camerata Ducale Vercelli ha omaggiato la memoria di Giovanni Battista Viotti con un concerto monografico che ha ripercorso, tappa dopo tappa, alcuni snodi della biografia del compositore e musicista piemontese.
Di Viotti oggi si parla poco e se possibile lo si suona ancor meno pur essendo figura dignitosissima – forse non geniale – per qualità e fantasia compositive e fondamentale nell’evoluzione tecnica del violinismo. Rimonda, che ha il grande merito di accompagnare il concerto con delle note introduttive proposte con il giusto stile informale e accattivante, ne dà conto e fa scoprire alcuni frammenti dell’universo viottiano quasi fossero miniature rubate dal romanzo di una vita avventurosa. Fu lui ad esempio a sviluppare con François Tourte l’archetto moderno, invenzione che permise l’evoluzione del linguaggio musicale verso quello che sarebbe stato il romanticismo vero e proprio, ampliando le possibilità espressive dello strumento. Fu sempre lui, e questo è probabilmente l’aneddoto più noto a suo riguardo, a comporre la musica della Marsigliese, nata originariamente come Tema e variazioni per violino e orchestra che gli fu di fatto rubata ma che quantomeno, come racconta Rimonda stesso, salvò la vita della pianista Hélène de Montgeroult quando lo eseguì dinnanzi al tribunale della Rivoluzione.
Alla stessa pianista, che non riuscì a fuggire al sovvertimento della monarchia e cadde prigioniera, Viotti dedicò la Meditazione in preghiera per violino e orchestra, un brano intenso che egli stese di getto nella carrozza che da Parigi lo trasportava, quasi clandestinamente, verso Londra.
Il Duetto concertante per due violini in do minore (G.44) che Rimonda esegue in coppia con la figlia Giulia, giovanissima virtuosa di grande talento che siede al leggio della spalla in orchestra, è un lavoro più immaturo che colpisce soprattutto per la varietà della scrittura.
Nella seconda parte Rimonda dipana con la giusta dose di cantabilità e funambolismo la scrittura del Concerto per violino e orchestra n. 24 in si minore e quella dell’Allegretto tratto dal Concerto 25.
Eccezionale virtuoso lui, che sa impastare legato e agilità senza mai imbrattare la qualità del suono, ma è molto buona anche l’orchestra che lo accompagna. La Camerata Ducale Vercelli ha ottimi musicisti abituati a suonare insieme e si sente: leggerezza, pregevolissima struttura timbrica, impeccabili interventi in solo. A spaccare il capello in quattro, si potrebbe chiedere solamente un briciolo di varietà dinamica in più.
Successo calorosissimo per tutti.
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