Questa volta tocca a Francesca Dotto Vestire i panni di Violetta Valery mentra sul podio c'è Omer Meir Wellber.
Invecchia bene la Traviata di Robert Carsen, spettacolo nato nel 2004 e da allora entrato nel repertorio del Teatro La Fenice. La direzione artistica, giustamente, non esita a metterla in cartellone se c'è occasione di fare bottino, a maggior ragione sotto carnevale quando gettare un amo tra i turisti può fruttare una pesca miracolosa. Tanto più che, con un cast all'altezza ed un maestro con buone idee, la ripresa si rivela ben più interessante della semplice routine.
Lo spettacolo, già recensito su queste pagine più volte, si giova di un'ambientazione contemporanea per offrire al pubblico “un'esperienza di prima mano”, usando parole di Carsen stesso. La società che il regista canadese racconta è volgare e cinica, i rapporti tra individui sono vincolati a logiche di mercato, il denaro onnipresente rappresenta l'unico strumento di relazione. Ad ogni ripresa sorprende la cura per la recitazione di solisti, coro e comparse: lo spettacolo ormai funziona come un meccanismo ben oliato, il ritmo è sempre alto, i movimenti fluidi; aiuta la consuetudine di gran parte dei comprimari con l'allestimento.
Perfettamente aderente all'impostazione registica l'esecuzione musicale. La direzione di Omer Meir Wellber si impone per originalità ed approfondimento: un'esecuzione dettagliatissima che scova in partitura preziosismi e sottintesi che rimangono spesso nell'ombra, che lavora con cura certosina sulle dinamiche e sull'accentazione, diversificando ogni inciso. La gestione ritmica è estremamente mobile ed elastica, il suono compatto ma rispettoso del palcoscenico. Talora le scelte del podio sfiorano l'arbitrio in termini di agogica e fraseggio (il rilievo dato al dialogo tra oboe e violoncello nel duetto Ah, dite alla giovine, l'introduzione alla scena n.6 del secondo atto, il Preludio al terzo) tuttavia ogni intuizione esegetica supporta la narrazione, inserendosi in un disegno complessivo coerente e dalla grande efficacia teatrale. Ottima la prova dell'Orchestra del Teatro La Fenice per precisione e duttilità.
Francesca Dotto è una Violetta notevole per personalità e sicurezza e, cosa non scontata, un'artista che pensa ogni parola e gesto, dandovi l'opportuno significato. La voce, ancora esile, soffre in certi punti la scrittura verdiana in termini di volume, per il resto il canto è corretto ed elegante, l'intonazione impeccabile.
Convince meno Francesco Demuro, Alfredo dal bel timbro ma generico nel canto e spesso impreciso nell'intonazione.
Maiuscola la prova di Luca Salsi, Germont dal canto morbido e sorvegliato, attento ad ogni sfumatura dinamica ed espressiva richiesta dallo spartito. Di rado capita d'ascoltare l'aria del secondo atto cesellata con tanta dovizia, nel pieno rispetto di tutte le indicazioni dinamiche ed espressive.
Tutte all'altezza della situazione le parti minori, impeccabile il coro preparato da Claudio Marino Moretti.
A fine recita franco successo per tutta la compagnia con ovazioni per protagonista e direttore.
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