Ha fatto molto scalpore, nei giorni scorsi, la lettera indirizzata dal padre di una giovane musicista al premier Renzi. La ragazza, membro della “JuniOrchestra” dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, “è tornata a casa in lacrime umiliata e mortificata dalla totale assenza di attenzione da parte del pubblico” dopo aver suonato all'evento "La scuola che cambia, cambia l'Italia". Pubblico in cui presenziavano, tra gli altri, il Presidente del Consiglio e il ministro dell'istruzione Giannini.
La registrazione video dell'evento è francamente imbarazzante e sarebbe opportuno che i protagonisti se ne assumessero la responsabilità, scusandosi pubblicamente con gli allievi dell'accademia romana.
L'episodio, al di là della mancanza di sensibilità degli interessati che li qualifica agli occhi dell'opinione pubblica, è sintomatico dello stato in cui versa la musica “colta” in Italia – e non è che la musica leggera se la passi meglio. Il disinteresse e la trivialità con cui il concerto è stato subìto - non direi accolto – dimostrano ancora una volta la totale estraneità del linguaggio musicale ad una fetta largamente maggioritaria degli italiani. Né sarebbe onesto gettare la croce sulla sola classe politica che, sia chiaro, è tutt'altro che esente da colpe, ma che rappresenta al più alto grado i vizi del paese.
Il problema di fondo è la profonda ignoranza degli italiani in fatto di musica, da Renzi in giù. Ignoranza intesa come mancanza degli strumenti culturali necessari a comprendere, e quindi apprezzare, un linguaggio tanto complesso, ad individuarne coordinate storiche ed estetiche. D'altronde la musica non viene insegnata nelle scuole, i teatri sono spesso semivuoti, i giornali se ne curano il minimo indispensabile. Sorprende relativamente poco che un pubblico con un simile background culturale fatichi ad andare più in là di Sanremo.
Il fatto stesso che, in occasione dell'episodio incriminato, l'orchestra fosse relegata a termine della conferenza, quasi a fungere da sigla di chiusura per non fare uscire il corteo in un imbarazzante silenzio, è emblematico in tal senso. Che si tratti di Beethoven o Tchaikovsky come in questo caso, di Allevi, Bocelli o Mozart - con tutte le differenze caso per caso – per l'italiano medio la musica rappresenta un gradevole sottofondo a faccende più importanti. Il pubblico italiano non è capace di ascoltare perché non è abituato ad ascoltare. Allo stesso modo i politici italiani non sono capaci di ascoltare. Parrebbe la perfetta, beffarda metafora di un paese in cui ciascuno crede di avere qualcosa di interessante da dire ed il diritto di essere badato, non il dovere di fare altrettanto.
Di fronte ai proclami tonitruanti di chi elogia il ruolo centrale della cultura nel nostro paese, salvo poi voltare le spalle ad un'orchestra di giovani musicisti, sorge spontanea una riflessione su quale dovrebbe essere il ruolo reale dell'istruzione, musicale ma non solo. Se c'è una cosa che la musica, il teatro - solo per rimanere agli ambiti più frequentati da OperaClick – insegnano, questa è l'ascolto: ascolto inteso come primo fondamentale stimolo alla riflessione, al confronto. L'istruzione che Renzi giustamente elogia è fondamentale proprio per creare nei cittadini un attitudine illuministica e dialogica al pensiero, nel pieno rispetto dell'interlocutore. Proprio quello che il premier, in questo caso, non è stato capace di fare.
1 commento:
Buonissimo articolo!
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