Affrontare Gluck non è facile, Orfeo ed Euridice soprattutto. I confronti sono moltissimi e spesso ingombranti, il linguaggio musicale parecchio distante dalla sensibilità contemporanea. Riuscire a dire qualcosa di originale, o quantomeno convincente, in questo repertorio è sfida molto più insidiosa di quanto si possa pensare.
Lo spettacolo allestito dal Teatro Verdi di Trieste, terzo titolo in cartellone per la stagione di opera e balletto, probabilmente non aggiunge molto alla storia esecutiva del capolavoro di Gluck ma senz’altro presenta diversi motivi di interesse. Sicuramente tra questi c’è l’allestimento firmato da Giulio Ciabatti (regia), Aurelio Barbato (scene e costumi) e Claudio Schmid (luci). Uno spettacolo che, al di là della piacevolezza estetica, si adatta perfettamente alle forme dell’opera, rispettandone ed esaltandone il carattere classico ed apollineo. La recitazione è stilizzata ed essenziale ma curata e musicale, la modernità degli abiti ha il pregio di spostare l’asse della vicenda dalla mitologia all’umano, rafforzando l’empatia del pubblico verso quella che è innanzitutto una storia d’amore totalizzante.
Luci ed ombre sull’esecuzione musicale. Laura Polverelli, cantante che si è fatta apprezzare in più d’un occasione sul palco del Verdi, soffre molto la tessitura grave di Orfeo. La voce fatica ad imporsi e a trovare quella rotondità e quel velluto che consentirebbero di cesellare il canto con una maggior ricchezza di colori e sfumature. Compensano in parte la musicalità ed il gusto nel porgere ma, allo stato attuale, Orfeo non sembra calzare perfettamente alla vocalità del mezzosoprano.
Molto buona la prova di Cinzia Forte che risolve senza patemi la scrittura di Euridice con un canto morbido e partecipe. Corretta Milica Ilic nella breve parte di Amore.
Filippo Maria Bressan chiede all’orchestra del Verdi sonorità antiche, scelta filologicamente inappuntabile. L’organico è stringato, ridottissimi gli archi (che suonano secchi e senza vibrato), i sono timbri chiari ed aguzzi. Ne esce una direzione limpida e razionale che avrà deluso i cultori del sinfonismo e del bel suono ma che aderisce come un guanto all’impostazione registica. Qualche imprecisione si sente, d’altronde l’estrema trasparenza non perdona il minimo errore e la pur ottima orchestra è poco abituata a confrontarsi con questa specifica prassi esecutiva. Spiace il taglio di buona parte della musica dei balletti.
Molto bene il coro preparato da Paolo Vero, assoluto protagonista dell’opera.
Pubblico cortese ma freddo.
Paolo Locatelli
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