3 dicembre 2023

Beatrice Rana e Antonio Pappano in tournée

   Qualche mese fa Bachtrack ha redatto una delle tante classifiche che cercano di stabilire quali siano i direttori e le orchestre migliori su piazza. Un divertissement ozioso, è ovvio, ma che dà una misura della tendenza generale, se non dei gusti del pubblico, dello showbiz. La curiosità è rilevare che ben tre dei nomi che occupano le prime sei posizioni figurano nella programmazione del Teatro Verdi di Pordenone, cui bisognerebbe aggiungere ad honorem il quarto, Herbert Blomstedt, che da queste parti ci passa spesso. Ci sono Ivan Fischer, che ha inaugurato la stagione, e Kirill Petrenko che la chiuderà a giugno, ma anche Antonio Pappano, protagonista accanto a Beatrice Rana e alla Chamber Orchestra of Europe dell’ultimo appuntamento in ordine di tempo.

Antonio Pappano e Beatrice Rana

   Evidentemente i grandi nomi non assicurano la qualità, anche se riducono di molto i rischi di una delusione, ma qualificano l’ambizione della proposta artistica, che nella serata di cui si racconta ha entusiasmato il pubblico.

   Sin dall’attacco dell’Introduzione e Allegro per archi di Edward Elgar Pappano si immerge nella musica infondendovi tutto lo slancio e la passione autentica che sono da sempre la sua cifra caratterizzante, come riuscisse a tramutare ogni partitura in un lavoro teatrale da raccontare al pubblico. Un approccio che qui non solo funziona meravigliosamente, ma riesce anche ad animare un brano di per sé non particolarmente interessante.

   Se il suo approccio narrativo alla pagina resta il medesimo anche nel Concerto per pianoforte e orchestra di Schumann, quel che cambia, oltre all' organico dell'ottima Chamber Orchestra of Europe, è che qui a dialogare con lui c'è Beatrice Rana, la quale sembra condividerne l’ardore, anche se con un’attenzione alla qualità intrinseca del suono superiore. Rana è un concentrato umano di qualsiasi qualità si possa desiderare in una pianista: forza, pulizia, eleganza, fluidità, equilibrio tra le mani e inventiva. Non è il genere di musicista eccentrica che cerca il colpo di scena ma vivifica la frase con un controllo millimetrico della dinamica e del rubato, lavorando sia sulle minuscole sfumature di colore che sul grande gesto. Quel che tuttavia colpisce maggiormente è il dominio assoluto, si direbbe robotico se non fosse così “vivo”, della tastiera e del suono, che non è solo da grande virtuosa dello strumento, ma da musicista di classe assoluta.

  Pappano ha poi il merito di cavare il meglio possibile, almeno in termini di tensione drammatica, dalla Sinfonia n. 6 in re maggiore di Dvořák, che spreme come un limone con tutta l’esuberanza di cui è capace, estremizzando il carattere emozionale di ogni tema e inciso ma ben cucendo tutto l’insieme e scaldandolo a viva fiamma. Nessuna frammentarietà dunque, ma un’esposizione avvincente e compatta della costruzione compositiva, come compatto è l’amalgama dell’ottima Chamber Orchestra of Europe, cui Pappano chiede più densità che nitidezza, più trasporto che analiticità, nella grande pagina sinfonica come nel bis elgariano proposto in coda.

   Successo trionfale sia dopo la prima parte che a fine concerto.

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