18 settembre 2020

Angela Denoke e la Gustav Mahler Jugendorchester aprono la stagione pordenonese

Poche storie, la pandemia non è un'opportunità ma una gran seccatura, anche e soprattutto per chi con la musica ci vive. Come ogni seccatura può essere aggirata con intelligenza e spirito di adattamento, oppure ci si può arrendere, ridimensionando le aspettative o tirando i remi in barca. La prima via è la più faticosa, perché per mantenere gli standard di qualità a fronte di una marea di limitazioni ci vuole il triplo del lavoro, ci vogliono conoscenza, fantasia, elasticità eccetera, oltre all’adozione di una mole mostruosa di misure di sicurezza. Insomma è molto, molto complicato. Però è possibile. Lo dimostra il progetto Gustav Mahler Jugendorchester, al solito in residenza tra Pordenone -  sponda Teatro Verdi - e Bolzano, con una delegazione extra spedita a Dresda per rimpinguare le file dalla Staatskapelle per l'inaugurazione di stagione. Una GMJO a organico ridotto e frazionato in piccoli gruppi paralleli che si avvicendano senza incontrarsi mai, nonché privata della consueta tournée europea, ma viva.

Angela Denoke e la Gustav Mahler Jugendorchester

Certo con un programma ridisegnato sulla base delle contingenze, che impongono un organico assottigliato nella mastodontica spina dorsale degli archi, né potrebbe essere altrimenti visto che sul palco occorre mantenere le opportune distanze e lo stesso vale per la vita quotidiana, che i ragazzi spendono fianco a fianco dal primo giorno all’ultimo.

Cambiano le proporzioni e cambia il sapore dell’orchestra dunque, ma non la soddisfazione di chi la ascolta. In fondo come insegna Schicchi, in questo mondo una cosa si perde – l'affiatamento ad esempio: un ensemble radunato in pochi giorni non può avere il respiro comune di quello che si cementa per un mese intero, o quel GMJO-sound caldo e appassionato che rinnova anno dopo anno – una si trova. Un’inedita trasparenza che non è solo leggerezza, ma quasi un cambio di paradigma, e il piacere di andare sul piccolo, sul dettaglio, di preferire l’acquerello da salotto alla cattedrale affrescata. 

E in questa ottica non si poteva scegliere nome migliore di Tobias Wögerer, già direttore assistente della Mahler accanto ad Herbert Blomstedt, forse l’unico per cui questa situazione emergenziale si sia rivelata una vera occasione. Probabilmente in un contesto ordinario Wögerer si sarebbe visto preferire un nome di cartello, di quelli che in genere si fanno carico della tournée estiva, invece si è trovato tra le mani un'orchestra tutta sua, piccola ma preziosa, da costruire e plasmare. E con quali risultati! Prendete il classico giovane direttore scalpitante tutto gran-gesto ed esuberanza che, direbbe Muti, “zompetta” sul podio scuotendo al vento la chioma. Ecco, Wögerer ne è la nemesi, il contraltare nobile. Dirige a mani nude con la chiarezza di chi sa cosa serve per ottenere il risultato ricercato senza concedere niente allo show, non ha modelli o idoli su cui ricalcare movenze e mimica né cerca mai l’effetto di facile presa, che pur alla sua età sarebbe un peccato perdonabilissimo. È semplicemente – “semplicemente” si fa per dire - un musicista fine e pensante, capace di concertare e di condurre senza sofisticazioni le linee, nello Schubert del terzo intermezzo da Rosamunde (se lo suoni così, hai davvero qualcosa da dire), come nell’Idillio di Sigfrido o nella trascrizione di Benno Sachs del Prélude à l’après-midi d’un faune. Però sa anche accompagnare. Ne dà prova accanto ad Angela Denoke, maestra assoluta della parola scolpita, liederista di classe ma ancor più artista con il teatro nel sangue, che agli ottimi Lieder eines fahrenden Gesellen accoppia una donna di Erwartung da brividi.

Chiude in trionfo il Concerto per pianoforte, tromba e orchestra n.1 in Do minore op. 35 di Dmítrij Šostakóvič, forse l’unico momento in cui si sia avvertita la mancanza di un organico più nutrito che potesse spalleggiare con maggiore robustezza la brillantezza del tocco di Maurizio Baglini e la tromba vellutata, ma pur sempre imperiosa, di Martín Baeza-Rubio

L’orchestra, che, giova ricordarlo, si è riunita solamente un paio di giorni prima del weekend di concerti pordenonesi, è più “orchestra” domenica che sabato, in netta crescita d’intesa e omogeneità con un solo giorno di rodaggio aggiuntivo. D’altronde ad ogni leggio siedono musicisti di grande presente e avvenire. Spiace che quest’anno il progetto debba chiudersi così in fretta.

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