8 ottobre 2022

Saraste dirige la GMJO

  Doveva esserci il fresco novantacinquenne Herbert Blomstedt sul podio della Gustav Mahler Jugendorchester per la tournée estiva di quest'anno, finché un acciacco non ha costretto lui a cancellare l'impegno e l'orchestra a cercare un sostituto a pochi giorni dall'inizio. Difficile immaginare che il minimo preavviso consentisse una vasta scelta di alternative, tanto più in un periodo in cui i grandi direttori, cioè quelli da GMJO, sono tutti impegnati nei vari festival estivi in giro per il mondo.

  Il caso ha fatto sì che la strada della Mahler si incrociasse con quella di Jukka-Pekka Saraste, che si è sobbarcato un progetto già bello che pronto e che probabilmente lui avrebbe sviluppato in modo diverso. Almeno questa è l'impressione che lascia il suo Bruckner (Settima Sinfonia) nel secondo concerto friulano di quest'anno, in cartellone al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone, che segue a ruota la serata al Verdi di Trieste, che presentava un programma sulla carta più adatto alla sensibilità del maestro (Schubert e Sibelius). La novità infatti è che la residenza della Gustav Mahler Jugendorchester a Pordenone, giunta al giro di boa del quinto anno, è culminata in una doppietta di serate equamente smezzata tra i due teatri omonimi della regione.

Ma com'è dunque questo Bruckner? Godibile, superbamente eseguito, ma discontinuo. O meglio, ha una sua coerenza di fondo nell'approccio senza troppi fronzoli, ma al netto della piacevolezza d'ascolto, è povero di sentimento. Il che vuol dire tutto e niente e, si capisce, è difficilmente oggettivabile, eppure è difficile esplicare altrimenti la sensazione che trasmette.

Saraste indovina tanti bei momenti, ma ne spreca altrettanti lasciandoseli scappare dalle mani senza lavorarli quanto potrebbe. Se certe frasi degli archi, e soprattutto il dialogo tra sezioni degli stessi, qua e là mettono davvero a nudo la scrittura, eviscerandola con un'attenzione quasi illuminante, a uno sguardo più generale si tratta di passaggi avulsi, collegati l'uno con l'altro da una marcia col pilota automatico. Cosa manca dunque? L'ampiezza di respiro, l'afflato tragico, la tensione drammatica. 

Qualità che talvolta si intravedono, ogni tanto germogliano ma non riescono mai a fiorire completamente, spezzate da un approccio al battito troppo rigido e dall'assenza di abbandono al flusso musicale. Fuori di metafora, è quel genere di cose per cui trattenere una nota per una manciata di decimi di secondo in più, stiracchiare una pausa, esitare, forzare l'assalto a una frase o sostare un istante per lasciar morire un suono nel nulla fa tutta la differenza del mondo.

Ciò detto, la GMJO è in ottima serata e dà pieno sfoggio delle proprie qualità, che sono poi le solite. Un colore tendenzialmente scuro e caldo, archi carezzevoli e una straordinaria compattezza di suono. Suono che è ben concertato ma forse un po' meno di quanto avrebbe potuto essere, poiché a tratti rimane l'impressione che ci fosse del margine per limare ancora un po' i dettagli, soprattutto in zona ottoni.

Accoglienza molto calorosa del pubblico pordenonese, che non smette di applaudire nemmeno quando l'orchestra si congeda.


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