19 agosto 2019

Wögerer: Una Grande da grande

Ho visto Tobias Wögerer "montare" il concerto ferragostano della GMJO pezzo dopo pezzo, dall’assieme numero uno, che credo coincidesse con i primi vagiti dell’orchestra che rinasce, o quantomeno “rinnova come fa la Luna”, anno dopo anno, fino alle due repliche di Aquileia e Majano. Sarei dunque disonesto a parlare dei soli concerti, né mi sentirei nella libertà di farlo, conoscendo tutto quello che c'è alle spalle. Quindi lo premetto, questa non è una recensione, è un backstage.



Un passo indietro. Chi è Tobias Wögerer? Ventottenne austriaco di Linz, Wögerer è il direttore assistente della tournée estiva della Gustav Mahler Jugendorchester che sta preparando e sgrezzando l'orchestra in attesa che arrivi il signore del podio designato, Herbert Blomstedt, a piazzare gli ultimi ritocchi per i concerti che verranno. A Wögerer tocca la parte più ingrata ma forse più affascinante: amalgamare un centinaio abbondante di giovani musicisti, che in larga parte non si sono mai visti prima, e mettere loro nelle dita il repertorio in programma, ma soprattutto farli diventare un'orchestra vera e affiatata in pochi giorni. Al primo approccio in prova con la Grande di Schubert avrei liquidato la faccenda con scetticismo, perché nulla avrebbe lasciato immaginare che quella macchina ingolfata e farraginosa potesse, in un paio di giorni, non solo mettere a puntino uno Schubert suonato divinamente, ma anche così caratterizzato e personale.

Tobias Wögerer è uno che lavora sul dettaglio e sul piccolo gesto, sulle note – le vuole strette e nette, è tipo da sassolini e non macigni – che concerta con grande mestiere e soprattutto, e qui forse sta la sorpresa, non è il classico giovane esuberante che scatena i volumi e fa rullare i tamburi a spron battuto. Per niente. È musicista da intarsi e mezzetinte, da equilibri e articolazioni raffinate. È un ragazzo con la testa del sessantenne.

Scansa sistematicamente ogni gran gesto, ripulisce i fraseggi troppo leziosi e gli effetti speciali per dettagliare in finezza e pulizia, costruisce il grande affresco pennellata dopo pennellata. Seguire questo percorso è stato come osservare uno scultore che dal blocco di marmo sbozza, scalpellata dopo scalpellata, la sua statua, fino a tracciarne i segni d'espressione, le singole vene pulsanti e ogni ruga. Wögerer la prende larga e poi va dentro ogni battuta, cavillando talvolta con puntiglio persino eccessivo, ma soprattutto ripulendo. Sgrassa dai tic e dagli accenti di comodo o d’abitudine, prova e riprova gli impasti isolando e combinando strumenti e sezioni finché non esce il suono che ha in mente lui, appiana ogni forzatura e ammiccamento.

I risultati sono sorprendenti. Nella Basilica di Aquileia, e ancor più nella replica alla Snaidero di Majano, l’orchestrazione di Schubert esce con un nitore che non solo è sempre dialettico e incalzante, ma dà costantemente conto del genio compositivo e della varietà di caratteri e intenzioni racchiusi in questa musica. Per l’Adagio e Fuga di Mozart, affidato ai soli archi, vale lo stesso.
Col tempo Wögerer imparerà anche a lasciarsi andare un po' di più, a osare dove oggi tiene ancora il freno a mano tirato, quel che è certo è che il suo nome sarà, da qui a qualche anno, di quelli che contano.

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