9 novembre 2018

Salva me, fons pietatis

Verdi, come tutti i grandi, si lascia capire un po’ come siamo capaci di fare e ci concede di leggere dentro alla sua opera qualcosa di noi. La spiritualità laica del Requiem per me è questa cosa qua. Nella furia degli ottoni e del coro maschile che invoca martellando un “Rex tremendae maiestatis” più impaurito che terrificante, ecco la luce di un’arcata vocale che parte dal basso e passa al soprano, al mezzo e poi al tenore: “Salva me, fons pietatis”. Una speranza che pare sollevarsi dalla tenebra. Le voci cercano una quadra, si rincorrono e si frammentano finché non si ritrovano, tutte insieme, su un do. La pietas, che intendo nella sua accezione più immanente e terrena, è la salvezza. E per me la pietas è l’amore al massimo grado, poiché totalmente disinteressato: il rispetto per l’altro, la disponibilità a pensarsi al suo posto ed entrare nei suoi patimenti, ad accettarne la fallibilità. Un’utopia probabilmente. Per chi ci crede è qualcosa che ha a che fare con la religione, io, ateo, la chiamo umanità.


Ho appena finito di ascoltare questa incisione di Gardiner: una meraviglia di rispetto al dettato e, una volta tanto, ai metronomi segnati in partitura. Consigliatissima

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