Quanti grandi, piccoli e medi direttori sono usciti dalle mani di Panula? Lo spettatore meno accorto non se lo aspetterebbe mai, ma la scuola finlandese ha sfornato una sfilza di maestri, autoctoni o in “vacanza studio”, da fare impallidire molti confronti. Jorma Panula è il condottiero di questo esercito, una figura leggendaria per ogni aspirante direttore d’orchestra. Ancora oggi i suoi corsi richiamano musicisti da tutto il mondo, attirati da quel taumaturgo che pare essere in grado di infondere la scienza della bacchetta a chiunque sia disposto ad apprendere. Da lì è saltato fuori un certo Esa-Pekka Salonen, che del Teatro Nuovo Giovanni da Udine ha inaugurato la stagione poche settimane fa, o Mikko Franck, Sakari Oramo (anch’egli transitato trionfalmente sullo stesso palco il maggio scorso) e molti altri.
Anche Jukka-Pekka Saraste è uscito dallo stesso pozzo, proprio negli stessi anni di Salonen, e anch’egli ha affrontato la prova del teatro udinese, che da diversi anni è solito ospitare artisti di assoluto prestigio. Il suo approccio alla materia chiarisce la discendenza soprattutto da un punto di vista: l’analiticità. A Saraste non sfugge niente, e lo si avverte chiaramente soprattutto nell’Eroica di Beethoven. Non è il genere di direttore che imprime una propria identità al fraseggio e al colore, o che abbia il tocco magico dello stregone – anzi, la sua orchestra, per quanto eccellente, tende al bianco e nero –, ma è finissimo concertatore e vivisettore. Non c’è tema o inciso che gli sfugga, gli equilibri sono sempre pesati al microgrammo, il senso dell’architettura beethoveniana e della plasmatica evoluzione del materiale musicale chiarissimo. Insomma Saraste mette in bella mostra il testo, con attenzione capillare alla dinamica e all’articolazione, mentre pare poco interessato a connotarlo di una cifra propria. Il che non è affatto un male, beninteso, anche perché l’obiettivo è centrato senza eccessi di pesantezza o rigidità.
Nel Concerto n.1 op. 15 in re minore per pianoforte e orchestra che apre la serata il carattere dell’orchestra non è diverso, né è diverso il suono. La WDR Sinfonieorchester Köln è ottima compagine, precisa e scattante, asciutta negli archi senza enfatizzare troppo la secchezza (nonostante l’uso centellinato del vibrato) e con un’eccellente schiera di legni. Scappa via qualcosa ai corni, come capita spesso, ma sono peccati veniali. L’affiatamento col maestro è poi assai rodato – Saraste la guida dal 2010, quando succedette a Semyon Bychkov – e lo dimostra la perfetta rispondenza tra gesto, in verità non bellissimo, e suono.
Christopher Park è pianista dal tocco leggero, più morbido che brillante, che “virtuoseggia” senza clamore né smania d’imporsi, ma con sentimento. Non affonda mai i tasti con arroganza, né nei pianissimi, che sono perlati ma senza compiacimento, né quando c’è da pestare sull’avorio. Se questo approccio intimista può mostrare un po’ la corda nei primi due movimenti, ove alla lunga si avverte la mancanza della ricerca di qualche colore o intenzione più audace, esce vincitore nell’Allegro molto, risolto con gaiezza quasi irridente.
Grande successo personale per Park, che si congeda con un bis chopiniano, e trionfo finale per l’orchestra che saluta con lo Scherzo della Sesta di Schubert
Recensione pubblicata su OperaClick.
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