11 settembre 2018

Lorenzo Viotti e Gautier Capuçon aprono la stagione pordenonese con un doppio concerto

Si sta sempre bene tra le braccia della mamma, anche da grandi. Deve averlo pensato Gautier Capuçon, già membro della Gustav Mahler Jugendorchester e oggi solista di fama mondiale, quando ha scelto di nascondersi furtivamente tra i violoncelli di fila per la Patetica di Čajkovskij. Non che passasse di lì per caso Capuçon, che del Summer tour 2018 è la stella solista e poco prima aveva suonato un elettrizzante Concerto per violoncello n. 1 in Mi bemolle maggiore di Šostakovič con virtuosismo da trapezista e l’intuito dell’artista superiore, quello capace di reinventare la nenia del secondo movimento imprimendole un ipnotico abbandono che la trasformava in una sorta di lamento remoto e alienato.

Foto_Elisa Caldana


Certo il cammeo in orchestra per l’estrema sinfonia del genio russo è un evento che può avere una qualche rilevanza alla voce “gossip”, ma che poco o nulla aggiunge al suono già di per sé caldo e carezzevole degli archi della Mahler. E nella fattispecie a quello dei celli, che sanno coccolare con tutto l’affetto del mondo il tema di valzer dell’Allegro con grazia e ammantarlo del calore di un abbraccio. Orchestra in stato di grazia dunque, il resto lo fa Lorenzo Viotti che pennella e scherza il tempo con qualche allegra zingarata, ma che sa anche scatenare l’apocalisse nella turbinosa sezione centrale del primo movimento, con gli ottoni in festa. O che infiamma con un implacabile parossismo danzante la chiusa del terzo movimento (e qui i contrabbassi che ballano al ritmo della musica sono puro spettacolo). Una Sesta sì eccentrica, più furoreggiante che “patetica” in verità – e che avrà dunque scontentato qualcuno – ma personalissima e, manco a dirlo, suonata divinamente.

Peccato che il pubblico provi a rovinarla in ogni modo possibile: prima ci pensa un cellulare, poi degli applausi intempestivi, ma tutto sommato comprensibili, a termine del terzo movimento e infine la smania di schiamazzare di chi non capisce che quel silenzio in cui si spegne la sinfonia, e idealmente la vita di Čajkovskij, è esso stesso musica.

Delude un po’ invece il Wagner tristaniano (Preludio e Liebestod) che apre la serata senza replicare la magia prodotta poche settimane prima nella Basilica di Aquileia. Ci sono sì la perizia e la pulizia esecutiva dovute e attese, ma anche un’eccessiva freddezza di fondo.

Per il secondo anno consecutivo l’inaugurazione di stagione del Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone si sdoppia, così al primo concerto ne succede un secondo in cui l’unica cosa a cambiare è il programma. Lo aprono i Mi della Sinfonia della Forza del Destino (Allegro agitato e presto scrive Verdi, e Viotti lo prende alla lettera). Giova quel clima da ultimo giorno di scuola – il concerto chiude la tournée – a orchestra e direttore che letteralmente sciolgono gli ormeggi e gettano il cuore oltre l’ostacolo. Lo fa in particolare Viotti, che allarga e spreme la musica con estrema libertà fino a una stretta finale scatenata – e spudoratamente bandistica, ma ci sta – che ne esalta più l’impetuosità che la drammaticità. Che sia piaciuto ai perbenisti del suono? Ne dubito. Un filino effettistico? Probabilmente sì. Però che vita! E che energia!

Nel Concerto per violoncello n. 2 in si minore, op. 104 di Antonin Dvořák, Capuçon si gioca le carte che nella serata precedente si era tenuto nella manica: legato, una prodigiosa ampiezza di cavata, suono di pasta calda e una cantabilità assai plastica. Viotti è il genere di direttore che sa ascoltare e lasciare spazio al solista, sicché le idee e la fantasia del violoncellista hanno modo di trovare piena realizzazione.

Con la Sinfonia n. 5 in do diesis minore di Mahler si tocca la vetta esecutiva e interpretativa del doppio appuntamento. Innanzitutto perché i conti tornano dall’inizio alla fine e tutto scorre liscio come l’olio senza inciampi né squilibri (e in questo Mahler è tutt’altro che scontato). Non c’è linea che non sia sempre chiara e rifinita, né passaggio che dia l’impressione di uscire confuso o “tirato via”. E poi Viotti plasma la musica con una libertà di tempi, fraseggi e articolazione che le dona flessibilità e originalità. Quello che in fin dei conti sorprende e conquista di questo giovane direttore è la ricchezza del suo vocabolario musicale e l’ampiezza di risorse tecniche ed espressive che non solo gli danno modo di tenere sempre in controllo l’orchestra, ma anche di valorizzare a pieno la scrittura. Che si tratti dei passaggi più infuocati o della cristalleria cameristica del Trio, dell’intimismo dell’Adagietto o degli scossoni che chiudono il Rondo-Finale, pare non esserci passaggio che lo metta in difficoltà o che difetti di quella sincerità di trasporto che trasforma la grande prestazione in una grande interpretazione.

Una prova straordinaria insomma, in cui non c’è sezione o prima parte della GMJO che si tenga un passo indietro rispetto agli altri. Capuçon si risiede tra i violoncelli di fila anche per questo Mahler ed è qualcosa di bellissimo, se non altro dal punto di vista simbolico.

Teatro pieno e successo travolgente, durante e a fine concerto. Pordenone ama la “sua” Gustav Mahler Jugendorchester e ne attende il ritorno.

Recensione pubblicata su OperaClick

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