Ci scommetto, da qui a qualche anno Lorenzo Viotti diventerà uno dei più importanti direttori in circolazione. Già al seguito della Gustav Mahler Jugendorchester per la residenza estiva pordenonese della scorsa stagione, mi stupì in un concerto ad Aquileia con un’Incompiuta di Schubert di pura sostanza, che ad occhi chiusi nessuno avrebbe potuto associare a un musicista nemmeno trentenne. Allora seguiva Ingo Metzmacher da direttore assistente e le due performance agostane che diresse in giro per il Friuli furono un piacevolissimo interludio, purtroppo incidentale, alla residenza dell’orchestra.
Quest’anno invece la tournée estiva della GMJO è affar suo, fatto eccezionale considerando la fama di chi l’ha preceduto (gli ultimi nomi sono quelli di Jurowski, Jordan, Blomstedt, Eschenbach e Metzmacher appunto). Certo quella che sulla carta potrebbe sembrare una sorpresa, se non un azzardo, alla prova dei fatti trova piena giustificazione. Perché Viotti ha sì 28 anni, ma la maturità di chi parrebbe avere già una lunga vita musicale alle spalle, forse più d’una. Gesto limpido ed essenziale, una cura maniacale per il dettaglio ma soprattutto la capacità di tradurre in musica, evitando fronzoli, pesantezza ed eccessi di rigidità, le sue idee.
Ed è stata di nuovo la Basilica di Aquileia a darmene la conferma, ancora una volta chiamata a ospitare una delle due date estive che fanno da appendice al soggiorno friulano della GMJO. Scelta doppiamente felice perché, oltre ad offrire musica straordinaria suonata in modo straordinario in un sito cruciale dell’identità culturale della regione, permette di diffondere ad ampio spettro sul territorio quel progetto meritorio – c’è da sperare che prosegua negli anni a venire – che è il sodalizio tra il Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone e la creatura di Abbado.
La quale è sì un’orchestra di virtuosi, lo si dà per scontato quando si approfondiscono i numeri e le modalità di selezione per accedervi, ma soprattutto di artisti; una compagnia di musicisti che danno l’impressione di trarre piacere dal suonare insieme, dal suonare bene e con tutta l’espressività che hanno dentro. Su un materiale umano di tale valore trova terreno dei più fertili il lavoro di bulino del direttore, che si ascolta e si percepisce tutto.
Lo svela un dettaglio apparentemente irrilevante, ma tanto significativo: la frase dell’oboe, ripresa poi dal clarinetto, che chiude il Preludio del Tristano anticipando il Liebestod, esprime un colore che non è solo intrinsecamente prezioso, ma che pare distendersi e rasserenarsi a preparare il cambio di atmosfera. È un’inezia, ma dà discorsività e coesione a due brani che disterebbero qualche centinaio di pagine nella partitura. Il merito è certo di chi gli strumenti li manovra, ci mancherebbe altro, ma anche di chi tanta dovizia di sfumature e dettagli la esige. E che Viotti sia già un mago del colore e della dinamica lo si realizza definitivamente poco dopo, con l’attacco dell’Idillio per orchestra di Anton Webern Im Sommerwind: un pedale dei contrabbassi in più che pianissimo, su cui si appoggiano sussurrando gli altri archi, monta dal nulla, leggerissimo ma non privo di certa oscura tensione, quasi fosse un velo d’acqua che dai mosaici bizantini della Basilica s’innalza a riempire il silenzio.
Può darsi che sia facile stupire con un raro Webern giovanile, ancora di qua dal cambiare la storia della musica e il mondo, ma gli estratti dal Tristan und Isolde non mentono e, soprattutto, espongono ai massimi confronti. Ebbene, già a metà del Preludio capita di pensare che non sarebbe male ascoltare l’intera opera diretta a quel modo, pervasa sì del suo notturno mistero ma senza misticismi di maniera o quel gusto un po’ stucchevole per la sottolineatura estenuata del cromatismo che riduce la musica wagneriana a un coacervo di languori. Non c’è calligrafia, né alcun effettismo, ma molta umanità, che sa infiammarsi di passione e tenerezza o ritrarsi in ombre dolenti. Quel che non manca mai però è la spontaneità, è la flessibilità mutevole di ogni espediente espressivo.
Ecco il punto fondamentale: Viotti sa sì colorare, rifinire le sonorità e dare fluidità alle misure, eppure non si avverte mai la sensazione che tanta cura scada nel compiacimento, nell’esibizionismo o nella concessione all’edonismo. Il focus è sempre sulla musica e ogni scelta dinamica, timbrica o di articolazione va in quella direzione. La forma, intesa come attenzione per l’estetica del suono, è essa stessa contenuto e veicola un pensiero che è sempre decifrabile.
Chiude una Verklärte Nacht nella versione per orchestra d’archi che è una miniera di dettagli, lirismo, colori, accenti, inflessioni e intenzioni. Certo aiuta avere in squadra Raphaëlle Moreau, spalla di grande raffinatezza, e l’ottima prima viola di Cátia Alexandra Santos. Due nomi fra i tanti, ma meriterebbero di essere menzionati tutti gli altri professori, a uno a uno.
Il 3 e 4 settembre sarà ancora la GMJO ad inaugurare la stagione del Verdi di Pordenone per il quarto anno consecutivo con un doppio concerto che chiuderà il tour europeo; sul podio lo stesso Viotti e al suo fianco il violoncellista Gautier Capuçon. In cartellone musiche di Wagner, Šostakovič, Čajkovskij, Verdi, Dvořák e Mahler. Se queste sono le premesse, l’appuntamento si annuncia imperdibile.
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