Il Friuli è terra di confini, incroci e rimescolamenti. Verrebbe da pensare che l’introversione rocciosa del suo popolo sia un effetto paradosso dei millenni di scorribande e passaggi di mano, quasi si potesse trovare una via di salvezza, o rinsaldare la propria identità, nell’impermeabilità e nel distacco. Tuttavia quest’angolo d’Italia che vive tra le Alpi e il Mediterraneo, con un occhio alla Mitteleuropa e l’altro puntato sui Balcani, il bisogno di guardarsi intorno e dialogare con il circostante ce l’ha da sempre, nonostante le dissimulazioni.
Capita così che un festival regionale nato tra le cime della Carnia, Risonanze, stringa la mano a un’Accademia italo-germanica per raccontare la musica barocca di ascendenza veneziana. Messa giù così sembra complicata, ma non lo è. L’associazione Junges Musikpodium organizza da una ventina d’anni dei laboratori di approfondimento per giovani musicisti con il duplice obiettivo di aiutarli a crescere e, parallelamente, di rinsaldare quello storico rapporto che univa Venezia alla corte di Dresda, non a caso due capitali europee della musica nei tempi che furono. Una manciata di concerti in giro per l’Italia, poi a Dresda stessa e a Berlino e, nel frattempo, una puntata nel cartellone di Risonanze. Il crocevia di questo ginepraio di relazioni è Udine con il suo Castello, che ha accolto i musicisti di Junges Musikpodium per un centone di composizioni barocche collocabili a cavallo dei secoli XVII e XVIII. In cartellone musiche di Vivaldi, Caldara, Galuppi e Hasse.
Due parole il Festival Risonanze le merita: nasce a Malborghetto-Valbruna, vicino al confine nordorientale che separa Italia e Austria, dove cresce l’abete rosso di risonanza della Valcanale, con l’idea di riportare gli strumenti nei boschi in cui sono nati, almeno idealmente. Gioca in trasferta nel concerto di cui si riferisce, per lo meno rispetto agli appuntamenti del Festival vero e proprio, che si svolge nelle prime settimane d’estate.
I musicisti qui impegnati sono per lo più giovani studenti, ma liquidarli come tali farebbe torto alla loro professionalità che ha poco o nulla da invidiare ai mestieranti di lungo corso. Scattanti e limpidi in ensemble, sicuri e precisissimi nei momenti solistici (almeno quelli a cui toccano), sono la prova tangibile di come molte piccole realtà, spesso poco note, sappiano fare musica come si deve, rendendo piena giustizia a pubblico e compositori. È giovane anche Giulia Bolcato, soprano, che padroneggia con disinvoltura le agilità nella sua aria di furore, svetta con insolenza in acuto (il grave è ancora fioco, ma si farà) e soprattutto cesella e “dice” con sensibilità. Sono invece più esperti Alberto Busettini e Ivano Zanenghi che, al cembalo e al liuto, reggono il basso continuo.
Alessandro Cappelletto si esalta nel virtuosismo del Concerto per violino in re maggiore RV 232 centrando tutta l’olimpica brillantezza che Vivaldi pretende, senza certi eccessi di nervosismo in cui ci si imbatte più spesso di quanto si vorrebbe.
Massimo Raccanelli regge le fila dell’insieme garantendo coesione, pulizia esecutiva e una tensione narrativa tutt’altro che banale.
Una bella serata, il pubblico del Salone del Parlamento applaude e ringrazia, giustamente.
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