6 novembre 2017

Un'orchestra scozzese per la Scozzese

E se vi dicessi che la BBC Scottish Symphony Orchestra è una signora orchestra? L'ho ascoltata per la prima volta un paio di giorni fa al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, per l'inaugurazione della stagione musicale, e mi ha decisamente sorpreso. Sul podio il bravo Thomas Dausgaard, al suo fianco un alterno ma affascinante Nikolaj Znaider; Britten, Brahms e Mendelssohn in programma.



Oltremanica succedono cose cui non siamo abituati. Capita ad esempio che il principale operatore radiotelevisivo abbia a libro paga non una, non due, bensì cinque orchestre stabili, dalla celeberrima BBC Symphony Orchestra londinese in giù. Tra queste, all’estremo nord, c’è la BBC Scottish Symphony Orchestra, compagine poco nota dalle nostre parti ma non priva di sorprese, sia ad un approfondimento dei trascorsi, sia alla prova dal vivo. Basta spulciare nella cronologia per imbattersi in nomi di spicco, come i giovanissimi Colin e Andrew Davis, o Simon Rattle, che a Glasgow mossero i primi passi, o ancora Donald Runnicles, che ne è stato direttore principale dal 2009 fino all’arrivo di Thomas Dausgaard. Ed è proprio Dausgaard a portare la sua orchestra al Teatro Nuovo Giovanni da Udine per l’inaugurazione della stagione musicale, con un concerto che li ha visti condividere la scena con il violinista Nikolaj Znaider.

Danese, classe 1963, il direttore parrebbe un perfetto epigono della scuola nordica: concertazione capillare che non si perde un dettaglio e soprattutto non sgarra mai negli equilibri, suono intrinsecamente bello ma leggero e brillante, poca retorica e molta chiarezza. Sia nell’aspetto, sia nel gesto, mi ha ricordato il grande Herbert Blomstedt, cui lo accomuna anche la serenità gioiosa del vivere podio e musica, oltre che la consuetudine con molte orchestre scandinave e danesi.

Si presta bene, al di là dell’affinità nominale, la Scozzese di Felix Mendelssohn-Bartholdy a mettere in luce le peculiarità di orchestra e direttore. All’eccellente pulizia esecutiva si unisce infatti una luminosità del suono tipicamente british ma anche una pregevolissima vivacità narrativa, frutto di una cura minuziosa per le dinamiche e per l’articolazione.

Benché la tinta orchestrale sia più versata alla trasparenza che al calore, il suono si espande con un nitore che non scade mai nell’inconsistenza né, come capita spesso con le orchestre più “chiare” che pastose, nella secchezza. Tutt’altro, il suono è sì limpido ma bello levigato, sia nell’ottimo Mendelssohn, dipinto da Dausgaard con una spensieratezza bucolica e sorridente, a tratti con dolcezza, sia negli Interludi Marini del Grimes. I quali sono affrontati forse con poca teatralità ma con mirabile spessore sinfonico e un’attenzione meticolosa al suono (il colore delle viole è stupefacente, con la prima parte Scott Dickinson sugli scudi).

Rimane da dire di Nikolaj Znaider, celebre violinista e – meno noto – direttore d’orchestra, impegnato come solista nel Concerto op. 77 per violino e orchestra di Johannes Brahms. Tempo fa, ascoltando una straordinaria esecuzione del medesimo lavoro, ricordo di aver pensato che in quell’esecuzione splendida, rotonda e preziosa, da dieci e lode, sentissi la mancanza di qualche asperità, di una storpiatura che spezzasse l’impeccabile – ma in fondo prevedibile – perfezione. Znaider sta sull’altra sponda del fiume. La tecnica è sì quella del grande virtuoso, e la cadenza lo dimostra oltre ogni ragionevole dubbio, ma non è il tipo di solista che non si perde una nota neanche gli puntassero una pistola contro. Le sbavature ci sono, le note non perfettamente intonate pure, e c’è, a tratti, l’impressione di un navigare a vista, o quantomeno di affidarsi all’ispirazione del momento, che può lasciare perplessi. D’altro canto è innegabile che Znaider sia uomo di personalità e fantasia. Non c’è, nel suo Brahms, la ricerca meticolosa della bellezza, della fluidità, del grande legato, anzi, certi caratteri sgraziati e dissonanze sono persino sottolineati con veemenza. Eppure, nel suo approccio non sempre condivisibile, c’è coraggio, c’è istinto e c’è, senz’altro, un’urgenza comunicativa che scansa ogni traccia di affettazione. C’è poi, inutile dirlo, un controllo totale della tastiera e del ritmo nei passaggi più indemoniati che conquista il pubblico e gli vale un trionfo personale.

Dausgaard poi lo asseconda come meglio non si potrebbe: senza staccagli di dosso gli occhi, piega l’orchestra - ottima anche in Brahms - ad ogni capriccio del solista.

Trionfo generale a fine concerto, incoraggiato da due bis strappa-applausi.

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