12 luglio 2017

La Cenerentola al Piccolo Festival FVG

Il Piccolo Festival del Friuli Venezia Giulia sta diventando grande, almeno all’anagrafe. Giunta al giro di boa del decimo anno d’età, la rassegna sta acquistando un’identità sempre più definita e personale: pochi appuntamenti ma ben pensati, location decentrate e chic, programmi raffinati che mescolano con gusto lavori del grande repertorio e rarità curiose.


E poi ovviamente c’è l’opera, su cui si concentrano gli sforzi produttivi maggiori: un titolo all’anno affidato a cast che centrano sempre il giusto mix tra giovani cantanti in cerca di affermazione e solidi professionisti d’esperienza. I mezzi, inutile dirlo, non sono quelli di una grande fondazione lirica, le idee invece non mancano.

Il Festival 2017, “Castelli da favola”, nasce con il proposito di sviluppare le diverse tappe tra alcuni dei luoghi più suggestivi del territorio friulano. Tuttavia anche le favole presentano qualche colpo di scena, nel caso specifico il classico temporale estivo che costringe il trasferimento dello spettacolo dal previsto Castello di Spessa di Capriva del Friuli al Teatro Comunale di Cormòns.

Chi ci guadagna sono Rossini – la musica all’aperto, si sa, deve sempre scendere a troppi compromessi – e le voci, che tra le mura di un teatro possono esprimersi al meglio, a perderci qualcosa probabilmente è lo spettacolo firmato da Claudio Mezzelani (scene), che si vede privato della suggestiva cornice del Castello di Spessa, sostituita dai teli neri che chiudono le quinte del teatro. Quel che rimane sono pochi elementi scenici: un paio di libroni riversi che fungono da pedana e uno verticale, una partitura dell’opera in maxiscala, che aprendosi diventa una porta d’accesso al palcoscenico per solisti e coro. Il resto lo fa la buona regia di Eva Buchmann, di stampo tradizionale ma sufficientemente dinamica e vivace. 
I bei costumi sono di Giada Masi.

Anastasia Medvedeva è un giovane mezzosoprano russo col fisico da ballerina e un bel viso pulito che sembra disegnato per la parte di Cenerentola. La voce è naturalmente bella nel medium e scende senza difficoltà alle corde propriamente contraltili, mentre perde di sostegno negli estremi acuti, che escono incrinati da un leggero vibrato stretto. La Medvedeva ha poi dalla sua un bel legato, discrete agilità e un’apprezzabile espressività nel canto ed è un'interprete convincente, anche se tende a giocarsi troppo spesso la carta della mestizia.

Alejandro Escobar – che sostituisce all’ultimo l’indisposto Federico Lepre – è un buon Principe Ramiro, almeno finché la tessitura non sale, quindi sostanzialmente fino all'aria di inizio secondo atto. Qui gli acuti sono una roulette, per il resto il canto è sempre morbido ed espressivo, senza risultare linfatico o eccessivamente lezioso, il timbro è piacevole e lo stile appropriato.

Il Don Magnifico di Eugenio Leggiadri Gallani è il giusto burbero e ruvido ma non privo di una certa bonomia di fondo, la voce è poi ampia e tonante ma facile alle sfumature e ai colori.

Enrico Maria Marabelli è un artista di grande simpatia e comunicativa, ma anche musicalità e voce, in pratica ha tutto ciò che serve per venire a capo della parte di Dandini nel migliore dei modi.

Yuri Kissin non trova in Alidoro il terreno più fertile per esaltare la propria vocalità ma riesce a portare a casa la serata, pur palesando qualche limite nella (difficile) aria Là del ciel nell’arcano profondo.

Positivo il contributo delle due sorellastre di Naama Shulman, Clorinda, e Noa Hope, Tisbe.

Jacopo Brusa si trova a concertare l'opera sul podio di un'orchestra ridotta all'osso (dieci professori d'orchestra della Filarmonica del Friuli Venezia Giulia e un maestro accompagnatore), quindi deve rinunciare a molte delle possibilità che la musica di Rossini offrirebbe, soprattutto in termini di dinamiche e colori. C’è poi un’ulteriore problema con una formazione tanto leggera e ristretta: ogni magagna emerge senza possibilità di camuffamento, e qui le magagne non mancano. Ebbene Brusa ne esce con classe perché sa gestire bene il rapporto con il palcoscenico, riesce a infondere alla narrazione la giusta vivacità e, nei limiti del possibile, a illuminare la musica con qualche guizzo di fantasia nell’articolazione.

Completa il quadro il Coro Tourdion.

Pubblico sparuto ma entusiasta.


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