Grygory Sokolov è pianista tra i più celebri e venerati al mondo e, non di meno, figura tutt'altro che conciliante. L'impronta stilistica estrema, se da un lato gli è valsa l'ammirazione quasi incondizionata di un'ampia fetta del pubblico, dall'altro difficilmente riesce a vincere le resistenze di chi intende la musica, o meglio l'interpretazione musicale, come qualcosa di diverso. Così, mentre la platea della Fondazione Bon di Colugna di Tavagnacco – meritoria istituzione della provincia udinese – salutava con entusiasmo irrefrenabile il musicista russo, chi scrive si è sforzato di comprendere le ragioni di tanto calore, senza riuscire a vincere una perplessità che è progressivamente mutata in delusione.
Non che a Sokolov manchino le qualità, beninteso. Impressionano la possanza e la brillantezza del suono, il nitore di ogni sfumatura dinamica, dai pianissimi (belli ma non straordinari) ai forti tonanti. Ogni nota, indipendentemente da volume o colore, scocca come una frustata, l'equilibrio tra le mani è impressionante. Una notevole libertà nell'articolazione poi, laddove non trascenda i limiti dell'arbitrarietà, illumina di nuova luce pagine tra le più celebri del repertorio.
Il tutto però procede in un'omogeneità di colori che fa presto a scadere in monotonia, inoltre l'indulgere in sonorità ampie e martellanti in uno spazio contenuto e dall'acustica riverberante, con un uso discutibile del pedale di risonanza, riduce più di un momento ad un indistinto fracasso. Il finale della Marcia funebre ad esempio, nella Sonata op.35 di Chopin, o lunghi tratti del secondo movimento Fantasia in do maggiore per pianoforte, op. 17 di Schumann uscivano eccessivamente fragorosi e pesanti.
Non meno irrisolta appare la gestione dei tempi, plasmati con libertà smisurata: al di là della lentezza generale di ogni pezzo, ciò che lascia le maggiori perplessità è la tendenza a dilatare ogni misura, sia a fini espressivi, indugiando in continui rallentando e ritardando, sia per sbrigare alcuni passaggi di agilità. Ne risulta un modo di fraseggiare e modellare la frase che nel migliore dei casi ammicca al sentimentalismo più scoperto, nel peggiore suona slentato e volgare. Sokolov non brilla nemmeno per precisione – cosa che sorprende non poco - approssimativa in Chopin (soprattutto nello Scherzo dell'Op.35), quasi calamitosa in Schumann.
Nel complesso i passaggi più intimi e raccolti (su tutti Langsam getragen. Durchwegleise zu halten, terzo movimento della Fantasia per pianoforte) convincono assai più dei momenti che sollecitano il virtuosismo, pasticciato e discontinuo.
Non impeccabile nemmeno l'esecuzione dell'Arabeske in do maggiore per pianoforte, op. 18 che ha aperto il concerto. Piacevoli ma ordinari i Due Notturni op.32 di Chopin.
Di tutt'altro avviso il pubblico in sala che ha riservato un'accoglienza trionfale al pianista, il quale si è congedato solo dopo aver concesso sei (sei!) bis.
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