1 febbraio 2016

Uno strano dittico: Agenzia matrimoniale e Il segreto di Susanna

Non c'è solo il tema della vita di coppia, benché inquadrato da prospettive completamente diverse, ad accomunare Agenzia matrimoniale - opera buffa in un atto di Roberto Hazon - e Il segreto di Susanna di Ermanno Wolf-Ferrari. Ciò che cattura immediatamente l'attenzione, ascoltando i due lavori in successione, è l'approccio similare dei compositori all'esperienza operistica: entrambi guardano ad un modo di fare musica e teatro del passato, beninteso, rispetto all'epoca di composizione. Così se Wolf Ferrari nel 1911 rispolvera i luoghi del Settecento e dell'opera buffa, rinfrescandone il linguaggio senza distanziarsene eccessivamente, anche nella commedia di Hazon (datata 1962) si respira un'atmosfera vagamente anacronistica che, tra rimandi liberty e toni salottieri, strizza l'occhio a Puccini, allo Stravinskij neoclassico, al musical e, in modo nemmeno troppo velato, alla musica leggera di inizio Novecento. Non è un caso che sia Hazon, sia Wolf-Ferrari siano stati musicisti estremamente liberi e svincolati da ogni avanguardia.


C'è un fil rouge che collega anche le protagoniste dei due pannelli del dittico: entrambe custodiscono un segreto o quantomeno un “non detto”. Argia è una signora di mezza età, in cerca di marito, che lascia intendere di essere stata una grande attrice dissimulando così la propria reale condizione di guardarobiera in un teatro. È più nota al pubblico invece la vicenda della contessa Susanna che, nascondendo al marito il vizio del fumo, lo porta a sospettare un adulterio.

Sarà anche per tutte queste ragioni che lo strano binomio proposto nel cartellone del Teatro La Fenice (ma in scena al Malibran) piace e convince.

Bepi Morassi, uomo di teatro esperto e scaltro, sa dar vita a uno spettacolo brillante e vivace in cui si sorride senza che la leggerezza ceda alla superficialità. Non manca di emergere, sullo sfondo, quella tinta malinconica, e in fondo inquietante, che permea i due lavori. Agenzia matrimoniale cela, dietro alla rete di bugie ed espedienti funzionali alla trama, una storia di solitudini disperate che lo spettacolo mette opportunamente in luce. Non è meno affascinante l'ambiguo rapporto della protagonista con la realtà, che a tratti pare fondersi con i sogni infranti di una gloriosa carriera artistica senza soluzione di continuità. Similmente, nel Segreto di Susanna, la stessa situazione di distacco dal quotidiano viene individuata nel fumo che diventa per la Contessa un vero e proprio rifugio in un mondo parallelo.

Le scene firmate da Sabastiano Spironelli chiariscono in modo inequivocabile i termini della questione. Il divano dimezzato che arreda il salotto dell'abitazione di Argia si fonderà nel finale con la sua metà mancante, recata in dote dal promesso sposo. La stessa abitazione raccoglie una moltitudine di abiti che vengono di volta in volta calati dall'alto: sono gli abiti di scena della Du Barry che Argia si illude di essere stata o quelli del guardaroba in cui lavora? A tratti si ha persino l'impressione che rimandino alla sua ossessione per il matrimonio. Difficile stabilirne l'esatta provenienza, senz'altro la soluzione fa emergere con forza l'indecifrabile relazione tra l'immaginazione del personaggio e il mondo reale.

Nel Segreto di Susanna l'impianto scenico (realizzato dagli allievi della scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia) rimane pressoché invariato ma, in luogo degli abiti, sul palco vengono calati oggetti di altro tipo, una paccottiglia dai chiari rimandi ludici e infantili che immancabilmente accompagna le “sigarette” della protagonista, enfatizzandone la dimensione di estraniazione onirica.

I bei costumi di Caterina Righetti si inseriscono alla perfezione nel contesto e sono assai belli da vedere.

Enrico Calesso firma una direzione che esalta la vivace brillantezza della musica senza perdere d'occhio le ragioni del teatro né la qualità del suono orchestrale. Il palco è sostenuto con dovizia, senza scollamenti né prevaricazioni sulle voci, gli impasti timbrici rivelano una cura ed un lavoro di ricerca approfonditi. L'orchestra risponde puntualmente, fatta salva qualche sbavatura nell'intonazione in Hazon.

Gladys Rossi ha la personalità che la parte di Argia richiede, domina il palco con sicurezza e riesce a restituire il carattere ironico e intriso di sottile malinconia della protagonista. Le minime riserve riguardano esclusivamente l'esiguo peso vocale che, in più d'un occasione, le impedisce di passare agevolmente l'orchestra. Convincente anche il bravo Armando Gabba nei panni di un umanissimo Adolfo.

Elisabetta Martorana si disimpegna senza problemi, risultando precisa ed espressiva nella canzone della Barbona. Lieta Naccari, la segretaria, sa stare benissimo sulla scena e viene a capo senza patemi delle sue poche frasi.

La coppia protagonista dell'intermezzo in un atto di Wolf-Ferrari piace senza riserve. La Susanna di Arianna Vendittelli unisce alla bellezza della figura una linea di canto morbida ed espressiva che ben si adatta a disegnare l'ingenuità maliziosa del personaggio. La vocalità è omogenea e, benché di peso specifico non impressionante, brillante e correttamente proiettata.

Bruno de Simone risolve il conte Gil con consumato mestiere, piegando la propria voce – senza dubbio la più ampia e sonora tra quelle in gioco – alla varietà di sfumature ed accenti necessaria alla valorizzazione del personaggio. Davide Tonucci sa trovare la giusta misura per conferire a Sante un tono ironico senza scadere nel grottesco.

A fine spettacolo il pubblico, purtroppo non foltissimo, ha decretato un franco successo per tutta la compagnia.

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