Fossi un regista avrei i sudori freddi all’idea di affrontare un’opera settecentesca, soprattutto un capolavoro serio e di grande respiro come l’Idomeneo di Mozart. Non perché si tratti di una creazione di scarsa attrattiva o dalla drammaturgia inconsistente, tutt’altro. Piuttosto per la difficoltà tecnica che la costruzione a numeri chiusi necessariamente procura e per la struttura formale della musica, assai più rigida e vincolante di quanto non sarà in seguito, il tutto costretto nei vincoli e negli stereotipi dell’opera seria. Difficile insomma creare un’azione fluida e dinamica su questa continua alternanza di recitativi, arie e cori, difficile definire dei caratteri e dar loro plasticità, difficilissimo disegnare la recitazione sulla musica.
Per l’inaugurazione della stagione 2015-16 il Teatro la Fenice di Venezia ha puntato su Alessandro Talevi il quale, spiace ravvisarlo, manca clamorosamente il bersaglio, inciampando appunto in quell’insidiosa staticità che in questo repertorio è tranello micidiale.
Il regista, tentando di veicolare un messaggio universale, privo di riferimenti specifici e immediatamente definibili, finisce per non dire nulla. Ogni spunto è appena accennato, le idee si rincorrono senza continuità e sviluppo diventando in un attimo velleità stagnanti. Anche laddove sia chiaro un disegno preciso tutto pare stucchevole e saputo: l’evoluzione dei personaggi ad esempio è assolutamente convenzionale, a tratti banale, sia nei singoli, la cui recitazione ricalca tutti gli stereotipi del teatro più polveroso, sia nelle masse. Lo scontro di civiltà è trattato con ingenuità disarmante, inscatolato in un manicheismo che si risolve in buonismo: da un lato i Cretesi, cattivi, oppressori (e vagamente ariani), dall’altro i Troiani, alfieri di un innocenza incontaminata, che vengono dapprima brutalizzati e infine felicemente integrati tra balli e abbracci.
Non mancano nemmeno momenti di involontaria comicità: di fronte alla pastasciuttata del finale primo e all’ineffabile siparietto che accompagna la marcia del secondo atto (No.14) si fatica a rimanere seri.
Le scene di Justin Arienti non dispiacciono ma, nella loro impostazione tradizionale, poco giovano alla dinamicità del tutto. Manuel Pedretti firma i brutti costumi.
La povertà dell’allestimento lascia l’amaro in bocca considerando che l’esecuzione musicale si attesta su ben più confortanti livelli. Il merito va principalmente a Jeffrey Tate il quale firma una direzione di straordinaria bellezza che coniuga al massimo livello le ragioni della musica con quelle del teatro. Esecuzione vibrante e dettagliatissima ma soprattutto coerente che mai, nonostante la durata dell’opera e la riapertura di tutti i tagli, si concede cali di tensione o cedimenti. L’orchestra, in splendida forma, suona con ammirevole ricchezza di colori e trasparenza, rendendo piena giustizia a Mozart e al palcoscenico.
Straordinario il coro del teatro preparato da Claudio Marino Moretti (e meravigliosamente sostenuto da Tate) che raggiunge vertici di assoluta poesia.
Brenden Gunnell, Idomeneo, ha vocalità e tecnica più versate ad altro repertorio, lo si percepisce chiaramente nella coloratura pasticciata e nella linea non immacolata. Tuttavia la particolare emissione, che privilegia sonorità chiare e scoperte, dona grande espressività al canto, massimamente nei recitativi. Le arie hanno forse un piglio eccessivamente muscolare, scelta che comunque non stride con la caratterizzazione del personaggio.
Monica Bacelli canta con classe la parte di Idamante: fraseggio, musicalità, varietà di colori ed accenti, tutto contribuisce a delineare una figura coerente e palpitante.
È invece impari alla scrittura mozartiana l’organizzazione vocale di Michaela Kaune, Elettra a cui difettano acuti, agilità e stile. La bella presenza e una notevole personalità compensano in parte un canto non all’altezza della situazione.
Ekaterina Sadovnikova, Ilia, mostra qua e là qualche segno di fatica ma nel complesso la sua prova convince, soprattutto per la sobrietà del fraseggio ed il gusto. Il timbro è poi molto bello e adatto alla parte. Eccellente l’ Arbace di Anicio Zorzi Giustiniani: voce di bel colore, emissione morbida, agilità dipanate con facilità quasi irridente. Una prova davvero maiuscola.
Buono il Gran Sacerdote di Nettuno di Krystian Adam; corretti tutti gli altri ad eccezione della Voce (malferma) dell’oracolo di Michael Leibundgut.
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