15 novembre 2015

Charles Dutoit dirige i Wiener Symphoniker

Anche il pubblico del Teatrone, come gli udinesi chiamano affettuosamente il Giovanni da Udine, deve di tanto in tanto accontentarsi dell'ordinario, in luogo dello straordinario che da quelle parti è l'abitudine. Il concerto dei Wiener Symphoniker diretti da Charles Dutoit non è di quelli che lasciano il segno ma piuttosto un esercizio di buona routine, con qualche idea originale annacquata da una genericità di fondo.

L'impressione che rimane a fine serata è che ci sia un certo grado di incomunicabilità tra podio e orchestra, o meglio non si riesce e comprendere se siano i sinfonici inadatti a dare concretezza alle intenzioni del maestro o quest'ultimo incapace di sfruttare a pieno il potenziale dei musicisti. Probabilmente la verità sta nel mezzo. Si direbbe che Dutoit abbia un'idea ben precisa in merito all'interpretazione musicale: un approccio più analitico che istintivo, mirato ad un'analisi strutturale della partitura. Nel momento in cui si trova di fronte un'orchestra che non ha i mezzi per realizzare alla perfezione queste intenzioni, per limiti nella trasparenza delle sonorità e nell'esattezza ritmica dell'esecuzione, si finisce per avvertire un senso di incompiutezza del tutto. In sostanza la non eccezionale qualità timbrica espressa dai viennesi non viene riscattata da una lettura che vada oltre l'esposizione dell'architettura dei lavori in programma. Gli spunti a ben guardare non mancano e, a tratti, sono ben realizzati: il dosaggio delle dinamiche è ammirevole e regala qualche pianissimo suggestivo, certi dettagli di fraseggio o impasti lasciano intravedere la zampata del grande artista. Rimane tuttavia una povertà di colori di fondo che finisce per omogenizzare ogni brano in un unico linguaggio espressivo.

I pezzi da Romeo e Giulietta di Sergej Prokof’ev che aprono il concerto, assemblati pescando nella prima e nella seconda suite op. 64, sono il momento più debole della serata: alla mancanza di nerbo della direzione, tendenzialmente lenta e metronomica, si somma un suono orchestrale grigiastro e pesante che sovente costringe legni ed ottoni a forzare per emergere. Alcune imperfezioni negli attacchi e qualche sbavatura dell'intonazione, soprattutto tra i violini, non migliorano il quadro.

Decisamente meglio la seconda parte. Il Prélude à l'après-midi d'un faune di Debussy è ordinario nell'impostazione, poco elastico ma assai ben eseguito. Dutoit ottiene sonorità leggere e vaporose ma non inconsistenti, stacca un tempo lento che sa reggere con classe e lascia una notevole libertà di fraseggio ai solisti. L'equilibrio tra la trasparenza dell'ordito orchestrale e la rotondità dei suoni è sapientemente mantenuto, lo sviluppo del brano fluido e senza cedimenti.

Onesta routine anche per i Quadri di un'esposizione di Modest Musorgskij in cui si apprezzano la varietà di dinamiche è la bella compattezza di suono ma che soffrono la scarsa fantasia del podio nelle indicazioni agogiche e nella tavolozza timbrica; dalla straordinaria orchestrazione di Ravel si potrebbe cavare qualche colore di più. Pulita ma monocorde l'esecuzione dell'orchestra, non completamente immune da inesattezze nella scansione ritmica degli ottoni.

A dispetto di ogni riserva si dà conto della trionfale accoglienza del pubblico.

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