1 novembre 2015

Temirkanov al Giovanni da Udine

È un felicissimo ritorno quello di Yuri Temirkanov e della sua Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo al Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Capita ormai sempre più raramente di ascoltare compagini che, al di là della perfezione tecnica, conservino un'identità timbrica immediatamente riconoscibile, un colore inconfondibile che le collochi nel solco di una tradizione. I Filarmonici di Temirkanov sono un'eccezione alla regola: il suono è antico, lussuoso, è quello che nell'immaginario collettivo si è soliti associare alle orchestre russe, cosa che non stupisce affatto considerando che l'attuale direttore principale ereditò il podio del grande Evgenij Mravinskij, di cui fu per altro allievo, nel 1988. Gli archi esprimono sonorità pastose e piene, legni ed ottoni hanno, rispetto al nitore ed alla brillantezza di altre scuole, un calore ed una sensualità ammalianti.

Non di meno colpisce l'affiatamento che lega podio e musicisti: il gesto di Temirkanov potrebbe sembrare a tratti oscuro, ambiguo, eppure l'orchestra è capace di seguirlo al millimetro, rispondendo ad ogni suggestione o improvvisa illuminazione del maestro. Si ha l'impressione che il direttore, piuttosto che concertare, suoni l'orchestra come fosse un unico stupefacente strumento: Temirkanov plasma il ritmo con tale libertà e inventiva che parrebbe quasi impossibile seguirne il passo, la sua musica è un prodigio di rubati, accelerazioni brucianti ed abbandoni, di fraseggi disegnati con un cenno delle dita o un'occhiata. E invece l'orchestra lo asseconda senza incertezze, anzi, unendo a questa sorprendente elasticità una qualità di esecuzione eccezionale (l'attacco degli archi nell'Andantino quasi allegretto della Sheherazade è, sul piano puramente estetico, tra i suoni più belli che abbia mai ascoltato).

Difficile dire se convinca maggiormente Shéhérazade, suite sinfonica, op 35 da le "Mille e una notte" di Nikolaj Rimskij-Korsakov o la Sinfonia n.2 in Mi minore di Sergej Rachmaninov. L'approccio alle opere è in fondo simile, caratterizzato da una grandissima cantabilità, da sonorità compatte ed avvolgenti, levigatissime anche nei forti più tonanti, e da una tensione narrativa senza cedimenti. È evidente il lavoro sulla qualità timbrica di ogni frase, per ogni sezione orchestrale; violini primi e secondi dialogano con voci diverse, persino il pizzicato dei contrabbassi riesce ad esprimere un timbro inedito e prezioso. La perfezione strumentale dei professori d'orchestra è poi al di sopra di ogni lode.

Tutto è animato dalla fantasia di Temirkanov che non smette mai di inventare, di aggiustare e rifinire. Il direttore cerca ed ottiene un'esecuzione estremamente espressiva e sentita che, pur sacrificando qualcosa in fatto di analiticità e trasparenza, si giova di una coerenza ed una fluidità straordinarie.

Eccellente il primo violino di Lev Klychkov in Rimskij-Korsakov.

A fine concerto accoglienza trionfale del pubblico udinese, salutato frettolosamente da un Temirkanov visibilmente provato e stanco.

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