Ha senso al giorno d'oggi allestire un Don Giovanni che rinunci, più o meno consapevolmente, ad ogni conquista recente di approfondimento drammaturgico? Evidentemente la risposta è sì, considerata l'accoglienza trionfale che si è guadagnata la nuova produzione del capolavoro mozartiano in scena al Teatro Verdi di Trieste, titolo inaugurale della stagione 2015-16.
Ciò detto, va tristemente ravvisato che lo spettacolo, pensato da Allex Aguilera, di pensato pare avere ben poco. Non dispiacciono le scene tradizionali firmate da Philippine Ordinaire, un impianto fisso che riproduce il cortile interno di un palazzo e che accoglie praticamente l'intera vicenda, così come belli sono i costumi di William Orlandi. Manca purtroppo tutto il resto, a partire dal lavoro sulla recitazione di solisti e coro come pare evidente l'assenza di un disegno esegetico chiaro. I caratteri sono appena abbozzati e comunque assai convenzionali, molto è lasciato all'iniziativa dei singoli; le arie vengono risolte con il cantante fermo in proscenio, i duetti con le solite mossette che sarebbero parse polverose già negli anni Settanta, il dialogo tra palcoscenico e musica è, sul piano attoriale, praticamente nullo. Il risultato è uno spettacolo estremamente statico ed innocuo in cui il libretto è svolto in modo quasi pedissequo ma che poco racconta del lavoro mozartiano, fermandosi al livello di lettura più semplice e superficiale.
Fortunatamente l'esecuzione musicale si attesta su ben altri livelli. Il Mozart del Maestro Gianluigi Gelmetti ha poco a che fare con quello che, in gran parte del mondo, è moneta corrente e si riallaccia ad una tradizione ormai minoritaria, caratterizzata dall'utilizzo di un'ampia orchestra che esprime sonorità imponenti e felpate. Insomma un Don Giovanni inteso come prologo dell'estetica romantica piuttosto che come pura espressione del classicismo. Non è il Mozart contemporaneo ma è assai ben suonato e, in fin dei conti, non privo di fascino anche perché, accettati i presupposti di partenza, Gelmetti dimostra una volta di più di conoscere il mestiere: il palco è sostenuto alla perfezione, le dinamiche sono varie e meditate come ricca è la tavolozza timbrica. I tempi rapidi poi aiutano alla scorrevolezza della narrazione. Lo asseconda alla perfezione l'orchestra del Teatro Verdi di Trieste che si dimostra ancora una volta compagine di grande affidabilità e qualità.
Nicola Ulivieri veste i panni del protagonista con gran disinvoltura: l'ottima tecnica ed il bel timbro vocale sono al servizio di un eccellente artista che sa fraseggiare, accentare e che domina la scena aggiungendo molto di proprio allo spettacolo.
Non meno convincente l'istrionico Leporello di Carlo Lepore che, pur costretto dalla regia a calcare la mano sul grottesco, si conferma basso dalla solida vocalità e dalle eccellenti risorse comunicative. Non di meno il canto è impeccabile.
Raquel Lojendio, Donna Anna, è cantante dai mezzi importanti: la voce suona omogenea e di buon volume, il temperamento è notevole come notevole è la musicalità; alcuni acuti forzati e le agilità non impeccabili della seconda aria sono peccati veniali nel contesto di una prova convincente.
Molto brava Raffaella Lupinacci che porta sulla scena una Donna Elvira cui non mancano né il carisma né le qualità vocali. La voce è di timbro affascinante, omogenea e timbrata nel registro medio e acuto mentre qualche opacità inficia i gravi.
Luis Gomes canta assai bene la parte di Don Ottavio, nonostante il timbro non sia di quelli indimenticabili. Se molto buona è stata l'esecuzione dell'aria del primo atto (Dalla sua pace), eccellente ci è parsa la resa de Il mio tesoro intanto.
Diletta Rizzo Marin disegna una Zerlina dalla voce corposa e di carattere nonostante l'intonazione non sia sempre impeccabile. Positiva la prova di Gianpiero Ruggeri, Masetto. Solido e ieratico il Commendatore di Andrea Comelli.
Bene si comporta il coro preparato da Alberto Macrì.
A fine recita il pubblico ha salutato con entusiasmo l'intera compagnia, qualche isolata e timida contestazione per il regista.
Cast alternativo:
Il Don Giovanni che ha aperto la stagione del Verdi di Trieste è stato accolto con un entusiasmo quasi sorprendente per un teatro che pareva ormai avviato verso una progressiva ed inesorabile disaffezione da parte del pubblico. Il cambio di sovrintendenza sembra aver portato un clima nuovo, già avvertibile sin dal battage pubblicitario che ha preceduto l'esordio dello spettacolo e culminato in un vero e proprio assalto al botteghino da parte del pubblico. Dalla prima, recensita su queste pagine, fino all'ultima replica cui si fa riferimento in questo articolo, il capolavoro di Mozart ha registrato un'affluenza altissima, con più di un “tutto esaurito”. Lo spettacolo è piaciuto insomma ma soprattutto ha fatto molto parlare e discutere, massima ambizione per una produzione teatrale.
Il merito del successo va innanzitutto ad una compagnia di canto affidabile ed omogenea, ben coordinata dal Maestro Gianluigi Gelmetti sulla cui direzione valgono le considerazioni fatte in occasione della prima: un Mozart inattuale ma assai ben suonato e indubbiamente pensato. Si avverte chiaramente un disegno musicale preciso nella calibratura dei colori, dei tempi adottati e nelle dinamiche come è evidente una cura certosina per la qualità del suono. Certo non è una direzione di grande slancio o fantasia e qualche contrasto maggiormente marcato o guizzo d'imprevedibilità in più non sarebbe dispiaciuto. L'orchestra del Verdi suona ancora una volta senza sbavature e con notevolissima precisione.
Il cast alternativo è dominato dalla personalità di Mattia Olivieri che tratteggia un protagonista molto convincente per adesione al personaggio, spontaneità e presenza scenica. Il giovane bass-baritone ha poi un grande talento: sa costruire la recitazione sulla musica, di cui sfrutta accenti e suggestioni creando una figura che, pur convenzionale nella caratterizzazione, domina il palco catalizzando l'attenzione su di sé. Il canto è ben risolto grazie alla solida tecnica ed all'ampiezza della vocalità; con l'esperienza e la maturazione dello strumento arriveranno un più ferrato controllo dell'intonazione, non sempre impeccabile, e una maggiore attenzione per i colori e l'accentazione nei recitativi.
Molto buona anche la prova di Fabrizio Beggi, Leporello dalla voce di bel timbro e dal volume imponente che fraseggia con gusto e calca il palcoscenico con disinvoltura.
Brava la Donna Anna di Marie Fajtová; il soprano, a dispetto di qualche pasticcio di dizione e di una voce intrinsecamente poco attraente, dimostra di avere un controllo dell'emissione ed una fluidità nelle agilità fuori dal comune.
Il Don Ottavio di Marco Ciaponi è risolto con correttezza: la voce è di bel timbro, il canto morbido ed omogeneo.
Non convince Anush Hovhannisyan, Donna Elvira che avrebbe la personalità richiesta dalla parte ma che palesa più di un impaccio nel sostegno del fiato e nel registro acuto.
Positive le prove di Enrico Marrucci (Masetto) e di Ilaria Zanetti (Zerlina): entrambi non hanno voci di particolare attrattiva ma si sforzano di dare senso a quanto vanno cantando grazie ad un apprezzabile lavoro sulla parola, sui colori e ad una recitazione vivace. Ancora una volta pienamente convincente Andrea Comelli nei panni del Commendatore.
Impeccabili gli interventi del coro preparato da Alberto Macrì.
Il rodaggio giova allo spettacolo firmato da Allex Aguilera che, rispetto alla serata inaugurale, risulta meno ingessato e statico. Rimane purtroppo la desolante povertà di idee della regia e la non entusiasmante realizzazione dei pochi spunti presenti. La scena del banchetto finale, anche ad una seconda visione, risulta di raggelante bruttezza.
Trionfo entusiastico per tutti con ovazioni da stadio per Olivieri, Beggi e Fajtová.
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