5 aprile 2015

Temirkanov e Gadjiev alla Fenice

L'artista è figlio del suo tempo. Yuri Temirkanov ha 76 anni e una carriera quasi cinquantennale alle spalle, discende della gloriosa scuola russa dei Musin, dei Mravinskij, non sorprende quindi che il suo gusto diverga nettamente da quelle che sono le “tendenze” interpretative contemporanee, ergendosi a baluardo di un modo di fare musica che oggi in molti ritengono fuori tempo massimo, che altri rimpiangono ma che sicuramente ha segnato il suo tempo.


Lo si avverte chiaramente in quell'Haydn voluttuoso e magmatico, dalla straordinaria compattezza ma lontano anni luce dalle sonorità leggere e trasparenti che siamo ormai abituati ad apprezzare nel repertorio classico; risulta forse ancor più evidente nel suo Brahms dalla tragicità esasperata, fatto di sonorità dense e e cupe, di accenti violenti ed abbandoni estatici alla cantabilità.

Il concerto tenuto dal maestro russo al Teatro La Fenice, alla guida dell'orchestra di casa, è stato innanzitutto la celebrazione di una grande personalità artistica, capace non solo di imprimere un proprio marchio, chiaro e personalissimo, sul programma ma soprattutto di infondere nella musica una vitalità ed una coerenza interpretativa rare. Tanto più che l'evento è stato anticipato dall'assegnazione del Premio “Una vita nella musica” allo stesso maestro. Molte luci dunque ma anche qualche ombra, imputabile innanzitutto ad una prestazione sottotono dell'orchestra, meno brillante e precisa del solito. Il riferimento non è tanto alla pura qualità del suono - che parrebbe non rientrare tra le prime preoccupazioni del direttore, considerando certe sollecitazioni a contrabbassi e violoncelli o agli ottoni che, se da un lato esasperano la forza drammatica della musica, dall'altro tolgono molto alla bellezza dell'impasto - quanto alle molte sbavature ed imperfezioni, forse dovute ad una padronanza non ottimale delle opere in programma.

Non convince pienamente la Sinfonia in sol maggiore Hob. I: 94 La sorpresa di Franz Joseph Haydn in cui si percepisce la cura della concertazione nella ricerca di colori e fraseggi come nella differenziazione delle sfumature dinamiche ma che evidenzia in taluni momenti, principalmente nel minuetto, una pesantezza eccessiva dell'amalgama.

Ben più a fuoco e rifinito il Concerto per pianoforte, orchestra d’archi e tromba in do minore op. 35 di Dmitri Shostakovich sia per l'ottima prestazione dei maestri d'orchestra, capaci di trovare una morbidezza ed una trasparenza che in Haydn erano mancate, sia per la buona prova del giovane pianista Alexander Gadjiev e di Piergiuseppe Doldi (tromba). Il primo, nonostante la personalità interpretativa non sia ancora pienamente maturata, convince per perfezione tecnica e musicalità mentre Doldi si impone per gusto e finezza espressiva.

La Sinfonia n. 2 in re maggiore per orchestra, op. 73 di Johannes Brahms secondo Yuri Temirkanov non ha nulla di pastorale né di tenero, gaio o innocente, come ebbe a scrivere il compositore stesso; il direttore pare prendere per buona piuttosto un'altra affermazione che Brahms indirizzò al proprio editore: «Non ho mai scritto nulla di altrettanto triste… la partitura deve uscire listata a lutto». Ne scaturisce una lettura a senso unico, tetra e pessimistica ma estremamente coerente e compatta. Al di là di alcune fastidiose imperfezioni di legni ed ottoni, concentrate prevalentemente nel primo movimento, l'orchestra risponde alle sollecitazioni del podio trovando una pienezza ed una ricchezza d'impasto notevoli. Pur sacrificando certi preziosismi della scrittura che restano nascosti, come nell'ombra rimane la leggerezza cameristica di molti passaggi della sinfonia, l'impostazione di Temirkanov esalta i tratti più oscuri e malinconici del lavoro. Sin dall'attacco dell'Allegro non troppo il suono è cupo ed avvolgente, sul tessuto ricco e pastoso degli archi si stagliano con veemenza gli ottoni, non senza eccessi di intemperanza. Di estenuante bellezza i rubati e le sottilissime inflessioni ritmiche suggerite dal podio nell'Adagio non troppo. Temirkanov conduce la sinfonia in un crescendo di tensione che culmina in un quarto movimento infuocato e travolgente, pervaso da un'energia ed una vitalità entusiasmanti: la scansione bruciante richiesta all'orchestra produce qualche imbarazzo nella tenuta ritmica ma si traduce in una forza drammatica impressionante.

Molto calorosa l'accoglienza del pubblico in sala che ha salutato direttore ed orchestra con lunghi e convinti applausi.

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