10 febbraio 2013

La Carmen di Bizet al Verdi di Trieste

A Trieste è il momento della Carmen di Bizet, l’opera delle opere, capolavoro tra i più frequentati (e fraintesi) dell’intero repertorio. L’opera che tutti credono di conoscere e dicono di amare. Da tale miscomprensione parte lo spettacolo di Carlos Saura, già passato per Valencia e Firenze prima di approdare a Trieste. L’idea, meritoria, sarebbe quella di sottrarre l’opera ad una delle tradizioni più incrostate e dure e morire, fatta di malintesi e rimaneggiamenti del lavoro di Bizet, stratificati l’uno sull’altro sin dall’esordio. In tal senso sorprende la scelta dell’edizione Choudens con i recitativi musicati da Guiraud, emblema di tutto ciò che si vorrebbe lasciare al passato.

Le scene di Laura Martinez rinunciano all’oleografia spagnoleggiante che si è abituati ad associare a Carmen, calando la vicenda in un contesto astratto, forse fin troppo. Una serie di pannelli mobili, animati da luci od ombre, sono lo scenario in cui deve svolgersi la regia, ripresa per l’occasione da Elisabetta Brusa, al solito attenta alle esigenze del teatro. Una regia curata, con buone idee e gusto sorvegliato, che ha dovuto fare i conti con uno spettacolo nato asettico e statico, distante mille miglia dalla teatralità esuberante della musica di Bizet.

Luciana d’Intino era una Carmen convincente a metà. Se è vero che il canto era risolto al meglio, sia in ragione della stupefacente freschezza del mezzo sia per la pulizia e la sobrietà della linea, meno a fuoco è parsa l’inquadratura del personaggio, che richiederebbe altra personalità e presenza. La d’Intino aveva il merito di restituire alla vocalità di Carmen la leggerezza e l’ironia che le sarebbero proprie, rinunciando alle derive veriste e agli effettacci più biechi, non quello di realizzare le medesime intenzioni sul piano attoriale e scenico.
Convinceva il Don José di Andrea Carè. La voce, di bel colore, suonava sicura e brillante nei passaggi drammatici mentre faticava nella mezzavoce. Il tenore si è reso protagonista di una prova in crescendo, culminata con un quarto atto intenso e coinvolgente. L’attore si impegnava a fondo nel tratteggiare un José immaturo ed irragionevole, vittima di se stesso ancor prima che di Carmen, incapace di relazionarsi con il mondo in cui si trova catapultato.

Molto buona la prova di Serena Gamberoni, Micaëla di inedita personalità nonché cantante dotata di bel timbro ed ottima tecnica. Il soprano ha pienamente convinto sia nel duetto del primo atto che nell’aria del terzo. Deludeva invece l’Escamillo di Lucio Gallo, impreciso nell’intonazione e in difficoltà in una parte che sembra avere una scrittura troppo grave per la sua voce.

Molto buone le prove di Yukiko Aragaki e Cristina Damian, rispettivamente Frasquita e Mercédès. Al pari convincenti Gianluca Sorrentino (Il Remendado) e Dario Giorgelè (Il Dancaïre), all’altezza della situazione Nicolò Ceriani e Federico Benetti nei panni di Moralès e Zuniga.

Donato Renzetti, sul podio di un’orchestra impeccabile, dava del capolavoro francese una lettura olimpica, scansando, di concerto con l’impostazione registica, ogni eccesso od enfasi. La direzione è piaciuta nei momenti in cui è la leggerezza (musicale beninteso) a prevalere, il quintetto del secondo atto su tutti, mentre qualcosa è mancato nei passi più tesi e drammatici. Ne è risultata una Carmen piacevole all’ascolto ma coinvolgente a fasi alterne, ben suonata ma non sempre attenta alle ragioni del teatro. Sugli scudi il coro del teatro triestino preparato da Paolo Vero.

Paolo Locatelli
paolo.locatelli@ildiscorso.it
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