Ritorna al Teatro La Fenice di Venezia La Bohème pucciniana nel fortunato allestimento di Francesco Micheli già proposto durante le scorse stagioni, spettacolo che piaceva all’esordio e continua a conservare le sue buone ragioni.
Circa l’allestimento ricordo quanto scritto in passato:
“Lo spettacolo è fresco, giovanile, coinvolgente nella sua bozzettistica semplicità. Non una Bohème sconvolgente o che si proponga chissà quali orizzonti interpretativi ma, cosa forse ancor più difficile, originale senza sconvolgere drammaturgia ed ambientazione. Le scene firmate da Edoardo Sanchi propongono una Parigi da vendere ai turisti, immaginata piuttosto che veritiera, uno sfondo fumettistico che accompagna e racconta da vicino le sfortunate storie dei Bohémiens pucciniani. La vicenda è incastonata in una cornice di simboli che rimandano alla Ville Lumière, dalla Tour Eiffel alle Folies Bergère, il tutto a costellare i luoghi che prescrive il libretto e che si è abituati ad associare all’opera. Insomma c è tutto quello che ci si aspetterebbe di trovare in una Bohème, dalla soffitta alla neve del terzo atto, ma non solo. Anche il secondo atto è magnificamente risolto senza scadere nei zeffirellismi in sedicesimo di facile effetto che si vedono un po’ dappertutto. La Parigi da cartolina, stereotipata, che viene proposta tende necessariamente a mitigare la pulsione naturalista dell’opera, spostandola su un livello favolistico o quantomeno romanzesco. La regia di Micheli, in perfetta sintonia con l’ambientazione, è scorrevole, spontanea ed immediata, coinvolgente e simpatica pur concedendosi alcuni siparietti di forzata comicità di cui non si sarebbe sentita la mancanza.”
Da Diego Matheuz era lecito attendersi una direzione di spessore sinfonico e così è stato. Il maestro venezuelano sapeva scovare nella partitura dettagli nascosti, ripensando i rapporti tra strumenti o le sezioni orchestrali così che alcune pagine, tra le più celebri del repertorio, parevano animate da nuova luce. Piaceva immensamente un secondo atto vibrante, sostenuto da una tensione pulsante e culminato con un valzer delizioso per leggerezza ed elasticità, piacevano le scene d’assieme della soffitta del primo e del quarto atto, di frenetico virtuosismo; alterna invece la resa delle grandi arie (ottimi i momenti solistici del primo atto, meno convincente “donde lieta uscì” dove si avvertiva qualche perfettibile scollamento tra solista ed orchestra). L’approccio sinfonico alla materia operistica, spinto alle estreme conseguenze, comportava qualche isolato bisticcio col palcoscenico quando i solisti non riuscivano a seguire od assecondare i repentini giochi agogici del podio. Peccati veniali che non rovinavano una direzione ricca di fascino e vita.
Maria Agresta era un’eccellente Mimì, per bellezza della voce, per la linea immacolata, per la finezza del fraseggio, per varietà di colori, per intensità. Una prova maiuscola che impone il soprano come interprete di riferimento, nel panorama attuale, del ruolo pucciniano. Di rado capita di ascoltare un’aria del primo atto tanto morbida ed intensa, risolta in un carezzevole canto a mezzavoce o un finale quarto tanto partecipe benchè miniaturizzato nel gusto.
Corretto Massimiliano Pisapia, Rodolfo di lungo corso, chiamato a sostituire l’annunciato Aquiles Machado. Il tenore può vantare voce di timbro piacevole nel medium e buon volume, l’interprete è convenzionale ma convincente.
Marcello era il baritono Simone Piazzola, cantante dotato di ottima natura e interprete valido, capace di enfatizzare il lato infantile e impulsivo del giovane pittore.
Ekaterina Bakanova, Musetta, esibiva voce di bel colore perfettamente gestita in un canto sicuro e partecipe nonché invidiabile verve. Impeccabile il momento solistico del secondo atto, ottimamente sostenuto dall’orchestra di Matheuz.
Sergey Artamonov era un Colline di buon gusto che sapeva risolvere l’aria del quarto atto con la richiesta intensità, evitando il protagonismo primadonnesco in cui è facile inciampare. Convinceva l’esuberante Armando Gabba, Schaunard con tutte le carte in regola, tutte all’altezza le parti minori.
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