4 aprile 2022

Iván Fischer dirige la EUYO

  A cinquant’anni dalla composizione, il Cantus Arcticus di Einojuhani Rautavaara arriva al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, seconda tappa della piccola tournée che la EUYO - European Union Youth Orchestra, in questo inizio di primavera, sta conducendo tra Italia e Finlandia. Sul podio c’è uno dei grandi del nostro tempo, Iván Fischer, cui non sfuggono le evocazioni e le alchimie di questo contrappunto orchestrale al canto degli uccelli. Rispetto alle esecuzioni di scuola finnica cui si è abituati, Fischer fa un Rautavaara meno trasparente ma più caldo e denso. Il che non significa che lo appesantisca, anzi, ma piuttosto che ricercare un amalgama vitreo e gelido, Fischer adombra e inspessisce il suono, esaltando la componente più lirica e cantabile della scrittura.

  C’è molta Finlandia nella serata di cui si racconta. Dopo Rautavaara, tocca al pilastro della tradizione nazionale Jean Sibelius con il suo Concerto per violino e orchestra in Re minore, op. 47. Kreeta-Julia Heikkilä, trentaseienne violinista finlandese, è molto attiva in ambito cameristico e si sente. È fine, pulita, ha un approccio aulico al Concerto di Sibelius, ma fatica a reggerne il peso. Non per mancanza di qualità musicali o tecniche, che sono all'altezza della sfida, ma proprio per una questione di spessore del suono. Fischer tiene a bada l'organico mastodontico della EUYO, salvo poi scatenare la piena potenza del motore nei momenti in cui la solista tace, ma anche sul tappeto rarefatto e morbido intessuto dal direttore, la Heikkilä patisce la disparità di volume tra il suo Guarnieri e un'orchestra bella folta. Il suo è un suono bello, chiaro ancorché velato, tendenzialmente nasale ma poco penetrante, insomma piccolo-piccolo, tant'è che pare arrivare alla fine del terzo movimento metaforicamente coi polmoni spompati. Fischer con Sibelius fa l'abile mestierante. Sta attento che i conti tornino - e tornano sempre - ammorbidisce e aggiusta, si prende qualche licenza dove può, ma fondamentalmente sta un passo indietro senza illuminare il concerto di luce nuova.

  Ha ben altra libertà nel Concerto per orchestra di Bartók, in cui dosa virtuosismo e prudenza, ironia e senso del colore, possanza e frivolezza. Fischer ha quella capacità rara di ammorbidire e legare anche nelle sferzate più violente e di mantenere il calore del suono senza mai farlo impantanare. È un suono a tratti cupo, a tratti crepuscolare, ma per nulla morchioso o pesante, anche nei passaggi in cui l'orchestra alza il volume. E soprattutto è il suo suono, quello che si ascolta dalla Budapest Festival Orchestra (che sarà protagonista a maggio sul palco del teatro), trasposto pari pari sui ragazzi della EUYO. Oltre alla concertazione, che è capillare e ineccepibile, pur andando a memoria Fischer è sempre in perfetto controllo di ogni linea, che direziona con un gesto parco e un abilissimo gioco di leggero anticipo su ogni intenzione. Quanto all’European Union Youth Orchestra, non si può che lodare la qualità dell’amalgama generale e delle prime parti. È sempre sorprendente la capacità che hanno queste orchestre giovanili ad altissimo turnover di mantenere un’identità timbrica e una quadratura che non sfigurerebbero di fronte a confronti di prim’ordine e di reggere con facilità quasi irrisoria qualsiasi pagina del repertorio.

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