16 febbraio 2022

Le prime Nozze del Giovanni da Udine

Buona la prima. Prima e, almeno per ora, unica. Dopo venticinque anni di attività anche ai piani alti del Giovanni da Udine hanno pensato che fosse tempo di rischiare il grande passo: produrre un'opera in casa. Ecco dunque la primogenita, Le nozze di Figaro, purtroppo in una sola data ed è un peccato che non si replichi, vista la bontà del risultato e la risposta del pubblico, che ha riempito la sala come non succedeva da troppo tempo.

Non è poi detto che il modello, culturale e di business, non possa essere ripreso in futuro o imitato da altre realtà, perché se è vero che nel nostro paese la produzione d’opera, almeno ad alto livello, è quasi esclusivamente appannaggio delle fondazioni lirico sinfoniche, con tutti i limiti che conosciamo, che un teatro “contenitore” scelga orchestra e team creativo e ci associ un cast di nomi internazionali per mettere in cantiere uno spettacolo è quantomeno una proposta da seguire con curiosità.

Foto Benedetta Folena

Saggiamente – talora anche i feticisti del teatro cosiddetto “di regia” devono ammetterlo – nelle Nozze di cui si dà conto si è deciso di proporre l’opera in una versione aderente alle prescrizioni del libretto, che per semplificare si potrebbe bollare come “tradizionale”, ma non per questo smunta o stantia. Scelta intelligente quando si tratta di iniziare a un genere poco frequentato un pubblico, quello di casa, che di opera negli anni ne ha vista passare, sì, ma non più che a spizzichi e bocconi, in ospitate saltuarie da altri teatri, quasi sempre il Verdi di Trieste.

Ben venga dunque una produzione in cui tutti fanno quello che ci si aspetta facciano, secondo le didascalie stese da Da Ponte, tanto più se l’azione è ben concertata e condita da qualche ideuzza originale e mai forzata, che è in sintesi quel che fa, con cognizione di causa e solido mestiere, Ivan Stefanutti. Il quale espone le Nozze senza fronzoli né troppi sottintesi, ma neppure semplificandola al punto da nascondere il retrogusto amarognolo della commedia. Talvolta si ride, più spesso si sorride e di tanto in tanto, in agguato, prende quel groppo alla gola che Mozart innesca subdolamente in mezzo a una battuta di recitativo o a una figurazione ritmica degli archi.

Portano la firma dello stesso Stefanutti le scene, invero semplici-semplici – insomma, low budget – che hanno giusto il compito di fornire qualche coordinata spaziotemporale e i costumi realizzati da Nicolao Atelier, che sono meravigliosi.

Foto Benedetta Folena

Anche Marco Feruglio, sovrintendente e direttore artistico del teatro prestato al podio, che sarebbe poi il suo mestiere, segue la linea dello spettacolo, scelta che paga sempre. Fa dunque un Mozart fresco e leggero, che racconta e accompagna senza pedanteria né la pretesa di spaccare il capello in quattro, ma ponendosi al totale servizio della narrazione, che infatti scorre via che è un piacere. Lo asseconda un’Orchestra di Padova e del Veneto precisa e ben equilibrata sia internamente che nei rapporti col palcoscenico. Sempre nell’ottica di aiutare la fruibilità dello spettacolo, non dispiace la scelta di sacrificare i numeri di Marcellina e Basilio nell’atto finale.

Merita una menzione Silvano Zabeo, maestro al fortepiano, che ha accompagna dei recitativi cui i cantanti hanno dedicato molta attenzione, e si sente.

Foto Benedetta Folena

È complessivamente ottimo il cast. Markus Werba è un protagonista esuberante e istrionico. Anna Prohaska è una Susanna di ascendenza leggera. Non ha gran peso vocale dunque, ma è una splendida musicista ed è assai raffinata nel “dire” i recitativi.

È ancor più espressiva e cesellata la Contessa di Almaviva di Anett Fritsch, che canta, colora la parola e recita splendidamente. Le manca forse un po’ di quella “punta” che i melomani più intransigenti cercano nelle voci, anche se non si può certo dire che la gran sala del teatro udinese e l’ancor più ampio palcoscenico, nel caso specifico privo di quinte chiuse, abbiano aiutato i cantanti a farsi sentire.

Andrei Bondarenko, Conte di Almaviva, ha un bellissimo timbro bass-baritonale, morbido e dal nobile velluto, e tutto quel che occorre per servirsene al meglio. Gli resta solo da perfezionare una pronuncia non sempre irreprensibile. Ha notevoli qualità vocali anche Serena Malfi, dunque bello smalto e squillo facile, ma al suo Cherubino manca un briciolo di varietà d’accenti e colori, soprattutto nell’aria di sortita.

Maurizio Muraro è un Don Bartolo di consumato mestiere e innata simpatia, Alessia Nadin una eccellente Marcellina. All’altezza Federico Lepre che si divide tra Don Basilio e, nel terzo atto, Curzio. Eccellente il contributo di Marcos Fink, Antonio, che si mangia la scena ogni volta che ci mette piede e di Giulia Della Peruta, una Barbarina di lusso.

Porta il suo solido contributo anche il Coro del Friuli Venezia Giulia ben preparato da Cristiano Dell’Oste.

Che l’esperimento sia riuscito lo conferma l’accoglienza trionfale che il pubblico ha riservato a tutta la compagnia.


 

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