19 maggio 2018

Jan Lisiecki e Michel Tabachnik a Pordenone

Non è la prima volta di Jan Lisiecki sul palco del Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone. Già vi transitò, sempre accanto all’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, un paio d’anni fa e vi ha fatto ritorno nei giorni scorsi per il concerto che ha chiuso la stagione musicale del teatro, riproponendo il suo collaudatissimo Chopin.

Rispetto ad allora, tuttavia, quello che si è ascoltato è un artista decisamente più maturo, sia nel gusto musicale, più asciutto ed essenziale, sia nella presenza del suono, che pur mantenendo la brillantezza e la bellezza intrinseca di allora si è fatto più corposo. Se la tecnica è quella che ci si aspetta da una stellina Deutsche Grammophon, quindi limpidezza, precisione chirurgica nelle biscrome e nei trilli, fluidità sulla tastiera, Lisiecki ha anche altro da offrire: è sì un ventenne che suona un pezzo composto da un ventenne innamorato – il Concerto n. 2 in fa minore op. 21 è licenziato da Chopin nel 1830, ispirato da quella Konstancja Gladkowska che egli definì “il mio ideale... quella che sogno” – ma è anche un musicista che respira la contemporaneità. Nessuna leziosaggine dunque, smancerie bandite né alcuna concessione a quel sentimentalismo mellifluo che finisce spesso per banalizzare il pianismo di Chopin.

Avrebbe dovuto esserci Mirga Gražinytė-Tyla al suo fianco, la quale ha dato forfait a pochi giorni dal concerto. L’ha sostituita l’esperto Michel Tabachnik, che conosce a fondo il mestiere e sa tenere ben salde le redini di un’orchestra, ma che certo non ha l’appeal mediatico della giovane direttrice lituana, né una personalità d’interprete tale da spazzare via ogni rimpianto per la sostituzione.

Certo Tabachnik sa indubbiamente dirigere e soprattutto sa concertare: il suono è sempre nitido ed equilibrato, la dinamica è ricca, il balancing e gli equilibri interni sono ben ponderati. C’è poi un gusto per la ricerca del dettaglio strumentale che ben si sposa con la scrittura orchestrale dei lavori in programma. Però il suo Bartók (Concerto per orchestra Sz. 116) è così morbido e rassicurante da tradire qualche eccesso di cautela e, soprattutto, si sviluppa lungo un percorso che appare chiaro sin dalle prime battute, senza sorprese né tradimenti. Non una sferzata, non un lampo, nessuno scarto bruciante che accenda lo svolgimento o lo scardini dai binari del buonsenso.

È su per giù lo stesso nel Prélude à l’après-midi d’un faune che apre il concerto: il giusto sfumato, il giusto morbido, il giusto sensuale. Tutto giusto ma tutto telefonatissimo.

Lo asseconda al meglio l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, che sicuramente avrebbe anche altro da offrire in termini di virtuosismo ed energia, ma che garantisce tutta la qualità timbrica e strumentale (benissimo le prime parti) e la trasparenza che le appartengono.

Buon successo per direttore e orchestra, trionfo da popstar per Lisiecki, con ovazioni e pupazzetti di peluches offerti in dono dal pubblico.

Recensione pubblicata su OperaClick

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