27 maggio 2018

L'italiana in Algeri al Verdi di Trieste

Prendete un treno, la macchina o quel che vi pare e andate a vedere L’italiana in Algeri in scena al Verdi di Trieste. Perché l’opera è un po’ come il calcio – perdonate l’accostamento – e il lavoro di squadra prevale sempre sui singoli. Qui la squadra c’è ed ha ottime componenti, ma c’è soprattutto un allenatore capace di metterla in campo con delle buone idee e un gioco vincente. Stefano Vizioli infatti, oltre ad essere nominalmente “regista” in locandina, il regista lo fa sul serio, cioè sa far muovere e recitare singoli e coro sulla musica e sa al contempo raccontare una storia dando un’anima ai personaggi. Non è banale in senso assoluto e lo è ancor meno nel Rossini comico, che finisce spesso maldestramente frainteso o, peggio ancora, risolto secondo un inventario di luoghi comuni triti e ritriti. Non è questo il caso, perché Vizioli riesce sì ad essere leggero e spiritoso, ma anche ad emancipare i protagonisti dalla natura di maschere dell’opera buffa, conferendo loro spessore e umanità.

Le scene coloratissime di Ugo Nespolo, artista prestato al teatro d’opera, reinventano le turcherie “da libretto” con un tocco personale un po’ esotico, un po’ fumettistico, un po’ fiabesco e molto, molto appagante per l’occhio.

Foto Fabio Parenzan


Assodato che il regista abbia dei meriti nella riuscita dello spettacolo, sul palco ci vanno i cantanti e nel caso specifico i cantanti sono tutti all’altezza della situazione, in certi casi anche qualcosa di più.

Chiara Amarù si muove nella scrittura di Isabella come un topo nel formaggio: il velluto vocale è quello del classico contralto rossiniano, le agilità sono facili e fluenti e poi c’è, nel suo canto, una propensione per i colori e le sfumature che ne esaltano il virtuosismo tecnico. Il che le consente ad esempio – complice l’ottimo Petrou – di sussurrare a fior di labbra Per lui che adoro, ottenendo uno splendido effetto, e in generale di dare incisività ai recitativi con un’apprezzabile ricchezza di inflessioni e intenzioni.

Anche Nicola Ulivieri è una garanzia, non solo per la musicalità e precisione dello stilista, ma anche per la misura che sa dare a un Mustafà tratteggiato con simpatia e ricchezza di dettagli, pur senza calcare eccessivamente i tratti o, viceversa, inamidarlo nel calligrafismo.

Che Antonino Siragusa fosse un interprete autorevole del repertorio rossiniano lo si sapeva già: coloratura, acuti e sopracuti, mezzevoci hanno sempre fatto parte del suo bagaglio. Oggi tutto ciò rimane invariato, ma con il doppio del volume rispetto a qualche anno fa. Chapeau.

Il Taddeo di Nicolò Ceriani ha innanzitutto un grande merito: evita quegli eccessi caricaturali cui cedono spesso e volentieri i buffi, senza però privare di spirito e verve il personaggio. Nessuna sorpresa invece dalla vocalità che, come a Trieste sanno bene, è sana, ampia e squillante.

Giulia Della Peruta è il tipo di artista da scritturare sempre, perché pensa al teatro prima che alle note; quindi recita, ci crede, dà senso a ogni parola che va cantando e a ogni gesto anche in una parte minore come quella di Elvira. I “comprimari” così fanno la fortuna delle produzioni operistiche.

Onesto l’Haly di Shi Zong, bene la Zulma di Silvia Pasini.

Foto Fabio Parenzan


George Petrou, come si era capito già nella Cenerentola della scorsa stagione, è un direttore di razza che conduce il racconto con mano leggera e con la giusta brillantezza, senza perdersi mai il palco e centrando una pulizia e una precisione impeccabili, sia in orchestra che sul palco: i concertati sono equilibratissimi, i sillabati dei cantanti chiari, ritmicamente squadrati e perfettamente “appoggiati” sull’orchestra.
Non solo, Petrou è il tipo di direttore che si fa sentire senza farsi notare: la sua direzione è così scorrevole, fresca e (apparentemente) spontanea che quasi non ci si fa caso, perché la buca non è né protagonista né relegata al semplice accompagnamento, ma si fonde con il canto trasformandosi in puro teatro. Rossini ringrazia.

L’Orchestra del Verdi è in ottima forma, scattante e limpida, con i legni sugli scudi. Bene anche le voci maschili del Coro di casa, al solito preparato da Francesca Tosi.

Buon successo di pubblico. Si replica fino al 3 giugno, da non perdere.

Paolo Locatelli
© Riproduzione riservata

Foto Fabio Parenzan

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