Un successone. Ormai l’abbiamo capito, al pubblico triestino piace l’opera “tradizionale”, quella che non riserva mai troppe sorprese ma nemmeno delusioni, l’opera in cui le cose vanno come ci si aspetta che vadano, e la Tosca firmata da Hugo de Ana in scena al Verdi rientra pienamente nella categoria.
Foto Fabio Parenzan |
Insomma si parla del classico spettacolo in cui tutto ciò che chiede il libretto (o quasi) è al suo posto, discretamente curato nella recitazione e nella realizzazione ma anche – anzi, proprio per questo – tremendamente prevedibile.
Certo una volta accettata l’idea che ogni cosa sia già scritta sin dall’alzata di sipario, la Tosca di de Ana funziona. Le scene sono ben fatte, piacevoli nonostante le evitabili proiezioni, gli artisti sono mossi con mestiere, pur nel solco di una concezione molto agée del teatro operistico. Però i personaggi sono quanto di più convenzionale si possa immaginare e ricalcano modelli già noti e frequentati sin dall’alba dei tempi e il “teatro”, che dovrebbe essere il fine ultimo di ogni produzione, latita. Poco male, il pubblico apprezza come non mai quindi ben venga, almeno di tanto in tanto, la cosiddetta “tradizione”.
A scanso di equivoci, sotto l’ampio tetto della tradizione ci sta davvero di tutto. Da un certo punto di vista anche la direzione di Fabrizio Maria Carminati potrebbe entrarci, utilizzando però il termine nella sua accezione più nobile; il riferimento è alla grande scuola dei direttori operistici italiani, di cui il maestro par essere un degno epigono.
Diamo a Cesare quel che è di Cesare: ho ascoltato Carminati molte volte ormai e non mi ha mai deluso, qualunque repertorio affronti – in ambito operistico – riesce sempre a centrare lo stile più adatto, le sonorità, la tinta richieste, garantendo qualità musicale e ottimo svolgimento tecnico del melodramma (il che significa: palco sostenuto al meglio, buon passo teatrale, suoni levigati ed equilibrati). La sua Tosca è in tal senso emblematica: felpata, limpida, calda. Merito suo ma anche dell'orchestra di casa che, al netto di qualche minima sbavatura in apertura, suona benissimo.
Foto Fabio Parenzan |
Un passo indietro i cantanti. Svetla Vassileva è una Tosca di temperamento e bella presenza, vocalmente solida e rifinita ma anche troppo arruffata nella dizione e con qualche suono fuori controllo in zona acuta.
Ben calato sulla scena ma alterno nel canto il Mario Cavaradossi di Massimo Giordano.
Angelo Veccia è uno Scarpia convincente sia per quanto riguarda la vocalità, sia perché capace di dominare la scena con una recitazione misurata ed essenziale ma molto efficace.
Dario Giorgelè si rivela un sagrestano affidabile ma eccessivamente sopra le righe, Zoltán Nagy è un buon Cesare Angelotti. Bene tutti gli altri: Motoharu Takei (Spoletta), Fumiyuki Kato (Sciarrone), Giovanni Palumbo (Un carceriere) ed Emma Orsini che, nel breve intervento del Pastorello, fa ascoltare ottime cose.
Molto positiva la prova del Coro del Verdi preparato da Francesca Tosi così come si comportano benissimo I piccoli cantori della città di Trieste diretti Cristina Semeraro.
Teatro praticamente esaurito, trionfo per tutti con punte di entusiasmo per soprano e tenore.
Nessun commento:
Posta un commento