20 settembre 2016

Il Trovatore all'Arena di Verona

È un Trovatore al quadrato quello areniano di Franco Zeffirelli, un melodrammone-colossal ove tutto risulta ingigantito ed esagerato, pensato per perseguire un obiettivo su tutti: stupire. La spettacolarità delle dimensioni e la piacevolezza estetica dell’imponente costruzione scenografica, invero appaganti per l’occhio, costituiscono il principale motivo di interesse dell’allestimento, al punto che a tratti si ha l’impressione che in essi si risolva gran parte del linguaggio espressivo del regista-scenografo.


Non di meno, fatta la tara degli eccessi che tutto sommato nel contesto veronese hanno una loro ragion d’essere, quello che rimane è uno spettacolo scorrevole, agile sia nei movimenti che nei cambi di scena, e, in fondo, anche nella tradizionalissima impostazione della recitazione.

A suo modo funziona dunque ancora questo Trovatore – già recensito su queste pagine in più occasioni  – nonostante l’età e il cospicuo numero di riprese. Funziona innanzitutto perché il tutto è realizzato con molta cura: l’impianto scenografico è pensato per servire la drammaturgia notturna dell’opera e in tal senso si adatta come un guanto alle tinte orchestrali, sia nell’atmosfera cupa e vagamente barbarica dei tre torrioni che costituiscono la scenografia, sia nei colori delle stesse scene e delle luci. Va poi riconosciuto al regista che, per quanto ingenua o banale possa essere l’impostazione del lavoro, alcuni momenti riescono talmente grandiosi e impressionanti da non lasciare indifferenti. È a tal proposito ammirevole la gestione sorprendentemente fluida delle masse, anche nei momenti di maggiore affollamento, al di là di un certo manierismo zeffirelliano nell’ostentazione delle dimensioni.

Ben calate nel disegno le coreografie di El Camborio (riprese da Lucia Real) e i combattimenti curati dal Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco. Al pari delle scene sono assai belli i costumi di Raimonda Gaetani.
Oltre alla magniloquenza del quadro purtroppo lo spettacolo ha ben poco da offrire e le idee nel tratteggiare i personaggi ricalcano stereotipi triti e ritriti.

Se l’allestimento, pur nei limiti ravvisati, ha una sua coerenza, più controversa e disomogenea risulta l’esecuzione musicale.

Serata infelice per il protagonista Marco Berti, probabilmente appesantito dalla fittissima agenda recente. La voce del tenore fatica a trovare la giusta morbidezza – e spesso anche la perfetta intonazione - soprattutto nel passaggio, eccessivamente aperto e forzato, e di conseguenza anche fraseggio e varietà di dinamiche risultano piatti e poco incisivi.

Non meno problematica la prova di Hui He, Leonora spesso approssimativa nell’intonazione e anarchica nel solfeggio: il soprano arranca sia nel registro acuto, frequentemente calante, sia nella gestione dei fiati.

Vanno decisamente meglio le cose per quanto riguarda le voci gravi. Artur Rucinsky tratteggia un ottimo Conte Di Luna in cui splendore vocale e attenzione alle necessità espressive della musica si fondono ad alto livello. Nell’aria in particolare colpisce la cura per le sfumature e la dinamica, non meno dell’impressionante ampiezza dei fiati.

Al di là di qualche tensione negli estremi acuti, Violeta Urmana disegna un’Azucena vocalmente poderosa e finemente rifinita nel fraseggio e negli accenti.

Nella norma la prova di Sergey Artamonov, Ferrando dai mezzi vocali ragguardevoli ma dal canto non immacolato. Convincono Elena Borin (Ines) e Antonello Ceron (Ruiz). All’altezza della situazione il vecchio zingaro di Victor Garcia Sierra e Cristiano Olivieri (un messo).

Sul podio di un’Orchestra dell’Arena di Verona in buona forma, Daniel Oren firma una direzione precisa e appassionata cui si perdonano certi ammiccamenti fin troppo scoperti, soprattutto nei frequenti compiacimenti ritmici.
Positiva la prova del coro preparato da Vito Lombardi.

Meritano una considerazione le discutibili scelte editoriali: se non stupiscono più di tanto le interpolazioni abusive di brani dei balletti della versione francese, evidente concessione alle necessità del clima areniano, davvero non si comprendono le ragioni che spingono ancora oggi a falcidiare la partitura con una serie di tagli che speravamo appannaggio di un passato ormai tramontato.

Trionfale ma sbrigativa l’accoglienza del non foltissimo pubblico.

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