20 settembre 2016

Leticia Moreno e Gianluigi Gelmetti inaugurano la stagione sinfonica del Verdi

C’è la bella Leticia Moreno – scuderia Deutsche Grammophon, ne sentiremo parlare a lungo – ad aprire la stagione sinfonica del Verdi di Trieste. Violinista dal gusto sofisticato, plateale forse nell’approccio “teatrale” allo strumento ma non nella sostanza. Le sue carte vincenti (Concerto in mi minore per violino e orchestra op. 64 di Mendelssohn) sono infatti la pulizia della linea, il bel legato e un delicato lirismo che non viene mai eccessivamente inzuccherato, anzi, che pare infuso di una tensione sottile, a tratti quasi nervosa. Il suono è piccolo ma estremamente caldo, le dinamiche non impressionano per varietà eppure sono dosate con buonsenso, per servire la musica piuttosto che impressionare il pubblico.

Prima di lei l’apertura di concerto è affidata al Lied mit Chor da Ein Sommernachtstraum op. 61 dello stesso Felix Mendelssohn-Bartholdy, brano per coro femminile (quello del Verdi, sempre ben preparato da Fulvio Fogliazza) e soprani: le brave Elisa Verzier e Lucrezia Drei.



Ciò detto, il ruolo di assoluti protagonisti del concerto va riconosciuto all’orchestra di casa e al Maestro Gianluigi Gelmetti che, se in Mendelssohn si limitano a un galante accompagnamento, nel Mahler della Quinta sinfonia in do diesis minore danno prova di grande virtuosismo e affiatamento.
L’Orchestra del Verdi suona splendidamente, con notevole compattezza e qualità di suono, e altrettanto bene sa prestarsi alle richieste del direttore, il quale dimostra di conoscere la materia e di avere un’idea ben definita sul taglio da dare all’opera.

Gelmetti non stempera quel lato abnorme e mostruoso, persino grottesco, che in Mahler c’è, ma lo fa senza scivolare nella retorica o in un’eccessiva seriosità, né si abbandona a languori e struggimenti dove è facile cedere al lirismo più esteriore, come nell’Adagietto. Il direttore punta piuttosto verso una tragicità poderosa e serrata di forte impatto. Pochi fronzoli ma tanta sostanza, sia nella precisione strumentale, sia nella tenuta dello sviluppo.
C’è tanto suono insomma, soprattutto nella Marcia funebre e nel Rondo, ma sempre equilibrato e sotto controllo, anche nei fortissimi a pieno organico. Il terzo movimento è poi giustamente Nicht zu schnell (non troppo veloce), come prescritto e come di rado si ascolta. Solo le prime battute dell’Adagietto tradiscono qualche imperfezione di intonazione e struttura, per il resto tutto quadra e riesce con onore.
Benissimo ottoni e legni, archi sugli scudi per colore e varietà di dinamiche. Davvero una prova da incorniciare per l’orchestra triestina.

Successo pieno e meritatissimo.

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