Che la London Symphony Orchestra sia una compagine di prima grandezza è cosa nota al pubblico udinese sin dal 2012 quando il teatro salutò con entusiasmo i londinesi, allora diretti da Antonio Pappano, in un memorabile concerto. Chi era presente ricorderà il suono lucente e brillante di quell'orchestra, la freddezza dei colori, e sarà rimasto forse sorpreso nel ritrovare la stessa London Symphony, guidata dal suo Principale Valery Gergiev, quasi irriconoscibile (se non per la preservata perfezione tecnica) nel concerto inaugurale della stagione 2014-15 del Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
La mano di Gergiev è evidente nei fraseggi, persino lampante nel colore orchestrale divenuto brunito, denso. Sin dal primo lavoro in programma, l'Ouverture-fantasia in si minore Romeo e Giulietta di Pëtr Il'ič Čajkovskij , appare chiaro come Gergiev intenda il repertorio romantico russo: timbri caldi, fraseggi intensi, archi avvolgenti (continuamente incitati ad accentuare il vibrato), equilibrio massimo tra le sezioni orchestrali. Infatti, pur nell'imponenza dell'orchestra e nella drammaticità del colore adottato, non c'è inciso o frase solistica che vengano oscurati; ogni nota, finanche il pizzicato di un singolo violoncello, è perfettamente distinguibile. Ovviamente la caratterizzazione del brano punta ad una drammaticità viva ed ineluttabile in cui la tragedia prevale sull'amore; paradigmatica l'inedita rilevanza data, nel finale, all'accompagnamento di bassi e timpani per una marcia funebre che diventa, da sottofondo remoto, vera protagonista della narrazione musicale.
La Sinfonia n. 1 in re maggiore, op. 25 "Classica" di Sergej Prokof'ev intendeva essere, per ammissione dello stesso compositore, un'opera sinfonica ispirata allo stile di Haydn, rivisitato alla luce delle ultime conquiste musicologiche. È quindi evidente che, dato il carattere particolare della composizione, il direttore possa scegliere quali aspetti evidenziare od approfondire, se assecondare il classicismo della scrittura o porre sotto la lente di ingrandimento le innovazioni ritmiche e cromatiche. Gergiev sceglie una terza via, leggendo la sinfonia quasi fosse un lavoro romantico, sia per l'imponente organico orchestrale disposto, sia per il colore adottato, sia per le disposizioni ritmiche ed i fraseggi. Sin dall'Allegro iniziale i suoni sono cupi, il tempo staccato più lento di quanto si sia abituati ad ascoltare. Sorprende, pur nella densità del suono, la perfetta distinzione di ogni voce: non c'è frase che non sia misurata e caratterizzata nel fraseggio e nella dinamica, come nel rapporto con le altre voci orchestrali. Ad un Larghetto malinconico e lamentoso segue una Gavotta per nulla classica, cesellata con rubati da capodanno viennese. Per il quarto movimento, molto vivace, Gergiev stacca un tempo serratissimo, quasi furioso, supportato da un'orchestra capace di reggere con intatta perfezione contrappuntistica.
La Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore op. 100, dello stesso Prokof'ev, caratterizzava la seconda parte di concerto. È noto quale fosse il messaggio riposto dal compositore nell'opera: in sintesi un inno alla purezza dell'uomo libero e felice. In effetti molte interpretazioni della Quinta, improntate ad evidenziare la scrittura trionfalistica e magniloquente, rendono, sia pur in modo superficiale, un senso di grandiosa celebrazione della gioia. Gergiev invece, che si conferma interprete geniale, va in tutt'altra direzione: sin dall'Andante l'atmosfera appare cupa e pessimistica, le cellule tematiche si susseguono nevrotiche e forzate, quasi si volesse esprimere una felicità fasulla, simulata. L'Allegro è rabbioso, l'elemento grottesco è marcato fino al parossismo. Nell'Adagio (terzo movimento) parrebbe quasi che la nevrosi cessi per lasciare posto ad una malinconica rassegnazione, ancora non c'è traccia di gioia autentica, al massimo alcuni passaggi lasciano l'illusione di una ritrovata serenità.
Nell'Allegro giocoso finale ritorna l'estenuante esposizione, ossessiva, di un trionfo simulato. L'accompagnamento alterna pennellate malinconiche a momenti di rigore marziale, i temi si ripetono ipnotici ma il dialogo tra gli archi (morbidissimi e scuri) e la violenza di ottoni e percussioni rivela un tormento irrisolto che nulla ha a che vedere con la celebrazione della gioia.
Oltre alla perfezione esecutiva ed all'affiatamento dei professori d'orchestra, colpisce davvero la compiutezza interpretativa e la coerenza del disegno generale, ulteriore conferma della grandezza di Valery Gergiev nel proprio repertorio d'elezione.
A fine concerto il pubblico entusiasta è stato salutato dall'orchestra con la Marcia dall'Amore delle tre melarance dello stesso Prokof'ev.
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