25 settembre 2014

Un inganno felice alla Fenice

Da diverse stagioni il Teatro La Fenice propone un sistema di programmazione ibrido che affianca alle nuove produzioni la ripresa di spettacoli collaudati, un vero e proprio repertorio, così da incrementare la produttività riducendo al minimo le spese, investendo su quel pubblico turistico che a Venezia non manca mai.


Accanto all'ormai celebre Traviata di Carsen e al meno ispirato Trovatore di Mariani, il cartellone propone, per questa fine estate, L'Inganno Felice di Rossini, nell'allestimento creato da Bepi Morassi per il Teatro Malibran, già recensito da Alessandro Cammarano quando esordì nel 2012.
Lo spettacolo privilegia il lato malinconico dell'opera, accantonando il carattere farsesco per concentrarsi sul dramma privato dei protagonisti. L'ambientazione bellica carica ulteriormente di tinte cupe la vicenda, estendendo l'alone tragico all'intera comunità, calata in una trincea della Grande Guerra.
Il risultato in fin dei conti convince grazie alla coerenza della realizzazione ed all'ottima fattura di scene e costumi. Le poche perplessità riguardano la scelta del regista di proporre – all'interno di uno spettacolo peraltro molto curato anche sotto il profilo della recitazione – alcune gag e siparietti, tipici dell'opera buffa, che si inseriscono con difficoltà nella seriosità del quadro generale.
Convinceva invece senza riserve l'esecuzione musicale, grazie ad un cast omogeneo e all'ottima direzione di Stefano Montanari, capace di infondere alla narrazione ritmo e tensione senza sacrificare la cura per il suono (davvero centrata e suggestiva la tinta orchestrale nell'introduzione all'ultima scena), la trasparenza della trama orchestrale e l'attenzione ai dettagli. Ottimo l'accompagnamento al fortepiano di Roberta Ferrari.

Marina Bucciarelli era un'Isabella convincente per espressività e cura del canto, gestito con morbidezza ed attenzione al fraseggio, senz'altro aiutata da uno strumento dal timbro privilegiato.
Molto buona la prova di Omar Montanari nei panni di Tarabotto per padronanza dello stile e della tecnica necessari a risolvere al meglio il repertorio buffo rossiniano: il cantante unisce alla freschezza dell'emissione una spiccata sensibilità espressiva per i recitativi, risolti con misura e buongusto.
Giorgio Misseri, Bertrando, a dispetto di un timbro non particolarmente accattivante, veniva a capo senza patemi dell'insidiosa scrittura, esibendo agilità facili ed un registro acuto sicuro.
Convinceva Filippo Fontana, Batone di solida presenza e vocalità, pur non immune da imprecisioni nell'aria Una voce m'ha colpito.
Inappuntabile l'Ormondo di Marco Filippo Romano, cantante dalla voce rotonda e timbrata nonché dall'eccellente musicalità.
A fine recita buona accoglienza del pubblico in sala, con applausi convinti per tutta la compagnia.

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