27 giugno 2014

Dudamel e i Berliner in concerto a Verona

Orchestra tra le più prestigiose e blasonate al mondo, i Berliner Philharmoniker, diretti da Gustavo Dudamel, giungevano a Verona per inaugurare la XXIII edizione del “Settembre dell'accademia”, rassegna musicale che prossimamente porterà sul palco del Teatro Filarmonico artisti ed orchestre di grande richiamo e qualità.

Pare che Gustavo Dudamel e i Berliner Philharmoniker abbiano un'intesa speciale, al punto che le voci sulla candidatura del maestro venezuelano alla successione di Simon Rattle alla guida dei filarmonici si fanno sempre più insistenti. Dopo aver assistito al concerto veronese le ragioni di questo affiatamento appaiono chiare: Dudamel, oltre ad essere un direttore dalla tecnica prodigiosa, rispetta ed asseconda al millimetro la gloriosa tradizione esecutiva e le peculiarità timbriche della formazione tedesca. Il luogo comune vuole che le grandi orchestre tendano sovente a cannibalizzare il podio, imponendo la propria cifra estetica al punto da condizionare pesantemente l'idea direttoriale; per quanto riguarda Dudamel ci sentiamo di affermare che, anche nel luogo comune, ci sia un fondo di verità: non che Dudamel ceda la bacchetta ai filarmonici, tutt'altro, però dopo averlo ascoltato di recente alla guida dei Göteborgs Symfoniker, ottima compagine di cui è stato direttore principale per diversi anni, le differenze risultano evidenti. Se i Göteborgs suonavano leggeri e trasparenti, privilegiando colori freddi e l'asciuttezza alla rotondità dell'amalgama, i filarmonici non rinunciano all'opulenza dell'impasto, esibendo, pur nella chiarezza, una densità di suono che, probabilmente, va ben oltre le intenzioni del podio. D'altronde è noto che i Berliner posseggano un'identità timbrica, ancor prima che stilistica, propria, caratterizzata da un prodigioso equilibrio tra la pastosità di archi e legni e la brillantezza scintillante degli ottoni. Un suono ricco ma per nulla pesante che tuttavia, se assecondato con troppa enfasi, finisce per risultare stucchevole o quantomeno ricalcare un gusto non freschissimo.

Quello che Dudamel aggiunge alle qualità intrinseche dell'orchestra è un impeto emotivo che i detrattori potrebbero tacciare di superficialità, realizzato tramite l'accentuazione dell'incedere ritmico nei passaggi in cui la musica si fa più concitata e le dinamiche vanno verso il forte e di abbandoni alla cantabilità nelle frasi più liriche. L'impostazione di per sé non è tra le più originali ma è perseguita ed ottenuta con perizia tecnica e consapevolezza tali da centrare il bersaglio.

In riferimento al programma, Dudamel riusciva ad imprimere una propria caratterizzazione alla prima frazione di concerto, dedicata a Čajkovskij, piuttosto che nel Brahms della sinfonia n.1 dove i Berliner parevano prenderlo per mano, cosa tutto sommato comprensibile in un caposaldo del repertorio tedesco tra i più frequentati dall'orchestra berlinese.

Nei poemi sinfonici La Tempesta e Romeo e Giulietta di Pëtr Il’ic Čajkovskij Dudamel sapeva coniugare lo sfarzo sonoro ad un disegno interpretativo chiaro e convincente, esaltando l'alternanza tra la passionalità e l'impeto delle esplosioni in fortissimo (mai fragorose e confuse) e i ripiegamenti soffusi, senza mai perdere il senso della narrazione o concedersi cali di tensione.

La Sinfonia n.1 in Do minore Op. 68 di Johannes Brahms, come accennato, convinceva in misura minore. Pur apprezzando la perfezione tecnica di Dudamel, la pulizia del suono e degli attacchi, l'ottima concertazione delle voci orchestrali e la cura certosina nella distinzione dei piani sonori e delle dinamiche, si ravvisava una certa discontinuità nell'impostazione interpretativa. Ad un primo movimento denso e perentorio nell'incedere, forse fin troppo compatto, seguiva un andante sostenuto di straordinaria poesia, ottenuta grazie alla leggerezza dell'orchestra ed alla morbidezza dei legni perfettamente adagiate su un tempo meno rilassato di quanto si è abituati ad ascoltare. I movimenti conclusivi venivano risolti in una perfezione formale che sarebbe ingeneroso definire come routine di alto livello, ma che neppure lasciava spazio a guizzi o approfondimenti degni di una prova memorabile.

A fine concerto ovazioni per direttore ed orchestra da parte di un pubblico entusiasta.

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