1 maggio 2023

Orfeo ed Euridice alla Fenice

 Affidare Orfeo ed Euridice a un regista come Pier Luigi Pizzi, che da sempre porta avanti un modello di teatro “olimpico” ed estetizzante, è una scelta artisticamente vincolante già in principio. È un paradigma, il suo, che diluisce l’energia dell’azione, sublimando la tensione in un pathos che è tutto introvertito e trattenuto e che può rivelarsi vincente in un lavoro dall'impronta quasi prosaica come Orfeo, con la sua placidità antiretorica, un'opera in cui l’espressione teatrale va estratta da ogni piccolo movimento e in cui ciascuna parola dev'essere trivellata fino al nocciolo della sua pregnanza drammatica.

Orfeo ed Euridice al Teatro La Fenice

   L’opzione di scombinare la drammaturgia e iniettare adrenalina nell’opera, ammesso che sia percorribile, non rientra certo nei tratti distintivi del regista, che alla soglia dei novantatré anni è lecito pensare non abbia in programma di cambiare il proprio stile. Pizzi costruisce infatti un ambiente scarno, un camposanto a tinte e luci fredde in cui il gesto è scarnificato e ogni movimento ridotto all’osso, tant’è che il coro, vero coprotagonista, interviene immobile ai lati del proscenio. Probabilmente il suo non è il modo di fare teatro d’oggi, men che meno quello di domani, ma ha una dignità che è impossibile non riconoscere, come è innegabile la qualità del mestiere con cui tale impostazione è perseguita.

   È dunque sensata la scelta del Teatro La Fenice di mettergli accanto un musicista che abbia al contempo un’asciuttezza antiedonistica di articolazione e fraseggio e la sensibilità necessaria per accompagnare il respiro lento del palcoscenico. Dimostra di essere l’uomo giusto Ottavio Dantone, che dal fortepiano guida un’orchestra opportunamente adeguata nell’organico - anche dal punto di vista strumentale - per affrontare l’opera secondo la prassi storicamente informata. 

   Quanto al cast, Cecilia Molinari si conferma una delle cantanti più interessanti della nuova generazione. Ha uno strumento di bel colore, omogeneo su tutta l’estensione, e un’emissione alta di posizione che non affonda neanche nelle discese all’ottava grave, oltre a una musicalità ineccepibile al pari dell’intonazione. Al di là della sicurezza tecnica, il mezzosoprano canta con un’attenzione per la parola e per l’espressione che anima il suo Orfeo di grande intensità drammatica.

   Molto positiva anche la prova di Silvia Frigato, Amore mirabile per sensibilità musicale e teatrale. Chiude degnamente il cast Mary Bevan, che al netto di qualche tensione in alto è un’Euridice più che convincente, forte di una vocalità luminosa e di un’apprezzabile eleganza stilistica.

Non soddisfa invece il Coro della Fenice preparato da Alfonso Caiani, la cui prova è povera di morbidezza e omogeneità.


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